Catechesi alle Confraternite
Auditorium di Palazzo Celestini, domenica 30 marzo 2025
IV di Quaresima
La parabola del figliol prodigo che provvidenzialmente questa domenica ascoltiamo in occasione del Giubileo delle confraternite ci spinge non solo a riflettere sulla giustizia misericordiosa di Dio che nella parabola è assimilata alla figura del padre, ma ci spinge anche a riflettere a meditare e a offrire questi pensieri in occasione del cammino penitenziale riflettendo proprio sulla fraternità e sullo stile della fraternità che come confraternite assumiamo nelle nostre chiese, nei nostri sodalizi e nella nostra quotidianità familiare o lavorativa.
La fraternità da sempre è un tema biblico se pensiamo alla creazione ci vengono in mente indubbiamente Caino e Abele la cui fraternità è macchiata dalle insoddisfazione, dall’invidia e dalla sopraffazione: Caino uccide Abele e Dio creatore domandando del fratello a Caino riceve una risposta gelida e secca che non si attutisce nemmeno davanti all’ avvenuto omicidio. Anche la fraternità mai nata, anzi potremmo dire mai presentata come tale nemmeno dalla Sacra Scrittura, di Ismaele e Isacco figli entrambi di Abramo, può farci riflettere. Abramo certamente di testa sua concepisce Ismaele, ma questo figlio non era nel disegno di Dio e anche Abramo forse era immaturo nel suo concetto di paternità. Solo quando Abramo si sarà completamente affidato al disegno divino, arriva Isacco che invece è frutto dell’accoglienza di Dio e del suo progetto Nella vita di Abramo i due fratelli forse non si conosceranno mai, sicuramente avranno saputo dell’esistenza l’uno dell’altro ma è una fraternità abortita, mai cominciata. Un’altra fraternità biblica è quella di Esaù e Giacobbe figli di Isacco. Esaù è il primogenito ma forse non ne ha le caratteristiche che il fratello Giacobbe intercetta e con l’aiuto della madre realizza, ma con l’inganno. Esaù e Giacobbe hanno sofferto nella loro fraternità e la Bibbia non ce la presenta nemmeno come tale, ma è una fraternità reale, fondata sullo stesso sangue e tuttavia è una fraternità che non funziona, è una fraternità macchiata dalla sopraffazione, condizionata dal potere.
Su tutte le fraternità raccontate dalla Sacra Scrittura la più emblematica è quella numerosa dei figli di Giacobbe: in questa numerosa prole troviamo ogni tipologia di emozione: il tradimento e l’invidia, la sopraffazione e l’incomprensione, ma anche il perdono e la riconciliazione, la pace e la serenità dopo la tempesta.
Anche il vangelo ci propone delle fraternità scelte ed elette: i fratelli Simon Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni: tutti pescatori e poi discepoli di Gesù.
E infine, giungiamo al quadro evangelico che ritrae la fraternità di questa parabola che chiaramente non parte bene: il figlio minore decreta la morte del padre rivendicando la sua parte di eredità per esprimere la propria libertà in maniera immatura e maldestra; ma anche il figlio maggiore rivela a fine parabola come da tempo sia morta l’immagine del padre che ha ingenerato nel proprio cuore quella del padrone da servire. Se il minore è andato via dalla casa paterna fisicamente e con la mente sognando mete illusorie e aride, il maggiore era andato via dal padre con il cuore e da lungo tempo prima…
Entrambi i figli rivelano un atteggiamento malato nei confronti del padre: non si sentono propriamente figli e seppur in maniera inconsapevole azzerano non i loro peccati e le loro nefandezze, ma la loro identità filiale! Il minore ritornando si ripresenta al padre come un servo da riprendere a lavorare e il maggiore non si rivolge al padre chiamandolo ma apostrofandolo in relazione al figlio riaccolto. Entrambi i figli, con percorsi e motivazioni diverse non hanno curato la loro figliolanza e si sono ritrovati a guardare al padre in maniera servile, distaccata e rancorosa.
Al pari della figliolanza essi vivono una fraternità abortita: l’uno e l’altro non si vedono nel racconto della parabola e forse non si possono nemmeno vedere! Il maggiore quando rientra e scopre che la festa è per il fratello prodigo che è ritornato si sdegna e negando la propria presenza per questa festa a cui non si sente invitato giudica il padre e quindi anche il fratello.
Cari amici, cari confratelli e consorelle! Quest’oggi in questa giornata per noi giubilare riceviamo un grande insegnamento evangelico in cui ci viene proposta questa fraternità non perfetta ma immagine di una fraternità in via di guarigione, alla quale accostiamo la nostra cosa in esame di coscienza per l’imminente cammino che faremo fra poco: cosa abbiamo costruito? come ravviviamo il nostro essere fratelli e sorelle? come lo gestiamo e come lo testimoniano a chi ci guarda?
Certamente la fraternità che viviamo è bella ed è arricchita dalle tradizioni della nostra fede, dalla famigliarità trasversale che viviamo tra più anziani e saggi e tra più giovani e intraprendenti e questo è motivo di orgoglio per noi e per la nostra chiesa se pensiamo al fatto che tutto ciò dura da secoli!
Ma qualche volta la stessa fraternità di cui andiamo fieri rischia di azzerare la propria dignità e diventa un groviglio di sotterfugi, un insieme di tattiche politiche di sottofondo che minano la libertà di espressione, ingenerano rivalità e instaurano nemicizie infondate e altro su cui è meglio tacere…
Non dobbiamo nascondere la verità anche perché in questa occasione giubilare è proprio questa verità, seppur sbagliata e malata, che presentiamo al Signore Gesù baciandolo Crocifisso: a Lui nostra giustizia chiediamo in questa giornata solare e giubilare di azzerare non la nostra identità e dignità bensì di azzerare i nostri peccati per poter ricominciare a ricostruire e riedificare la fraternità ferita.
L’azzeramento indulgente che chiediamo al Signore non nasce però da un terremoto e da un disastro umano voluto e preparato in sordina; esso è costitutivo della Chiesa di Cristo che, come questo auditorium che ci ospita (e che in realtà è nel progetto fondativo dell’intero palazzo dei celestini è una chiesa) è incompiuto, cioè in eterno compimento verso il Regno che edifichiamo a cominciare da quaggiù.
L’azzeramento dei peccati e delle colpe attraverso l’indulgenza plenaria giubilare è dono di Dio, della sua misericordia, della sua eterna giustizia che muove sempre il primo passo verso di noi sia che siamo giovani intraprendenti e affascinati dalla dissolutezza, sia che siamo più grandi, stanchi e un po’ rancorosi della vita che ci ha riservato tante sorprese e tante delusioni; o maggiori o minori siamo sempre figli ed è il padre Dio che si muove verso di noi: questa è la vera giustizia di Dio, non quella vendicativa che a volte chiamiamo a nostra intercessione pensando a chi ci ha fatto del male! La giustizia di Dio è quella del primo passo, quella della misericordia. Ed è una giustizia in perdita perché ritroviamo nel Crocifisso Gesù colui che pur non avendo peccato è stato reso peccato per la nostra giustizia; sì la giustizia di Dio è davvero questo: prendere su di sé i nostri peccati! Inginocchiandoci e baciando il Crocifisso questa mattina compiremo l’atto penitenziale per eccellenza, l’atto giubilare supremo che in questo anno ci vede davvero ricominciare dall’anno zero. Dunque un anno speciale, un anno spirituale e un anno personale perché ognuno di noi è chiamato davvero a chiedere a Dio il nuovo inizio, una nuova primavera spirituale. Così sia, amen!
Don Gabriele Giordano
Vicario Episcopale per le Confraternite
Foto di L. Ciuffreda