Non è un reato avere coraggio. E non è fazioso chi dà voce a chi non ce l’ha.
In questi giorni, anche chi suona campane per denunciare la morte, si ritrova sotto tiro. È accaduto a padre Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, per aver aderito con lucidità e coraggio all’iniziativa “Gaza muore di fame: disertiamo il silenzio”. Un gesto forte, simbolico, spirituale, umano. Eppure, accusato da qualcuno di “selettiva indignazione”.
Il quotidiano Il Foglio, in particolare, ha voluto dipingere padre Franco con tinte caricaturali: un vescovo “descamisado” (senza camicia), più attento alle marce che alle vocazioni. Un’etichetta facile, come tutte quelle che preferiscono la scorciatoia dell’ironia al passo lungo della comprensione.
Ma chi conosce padre Franco, sa che la sua voce nasce dalla preghiera, non dalla propaganda. Dalla fedeltà al Vangelo, non da agende ideologiche. Sa che, quando prende posizione, lo fa non per partito preso ma per parte data: quella degli ultimi, degli invisibili, delle vittime dimenticate.
È vero: nel mondo ci sono molte guerre, troppe. È vero: ci sono persecuzioni che non riempiono le prime pagine. Ma è proprio per questo che servono voci che sveglino le coscienze quando il silenzio si fa più comodo. Padre Franco non ha scelto di ignorare il Congo o la Nigeria. Ha scelto – in quel momento – di non restare indifferente davanti a un’ingiustizia concreta, visibile, eppure già troppo normalizzata.
La Chiesa non può mettere sullo stesso piano ogni tragedia, come se il dolore fosse una classifica. Ma può – deve – scegliere di stare sempre dalla parte delle vittime. Tutte. Senza bandiere. Le campane suonate per Gaza non tolgono nulla ai martiri del Congo. Anzi: ci ricordano che le vite non si pesano col bilancino della geopolitica. Si ascoltano. Si piangono. Si difendono. Tutte!
È comodo attaccare chi ha il coraggio di esporsi. Ma noi, come comunità, stiamo con il nostro vescovo. Non per appartenenza clericale, ma per adesione convinta a una Chiesa che ha il coraggio di parlare. Di rischiare. Di “tuonare”, se serve – come scrive Il Foglio – quando il mondo preferisce che restiamo in silenzio.
E se qualche critica arriva… pazienza. Come diceva qualcuno:
“Non bastano sacerdoti che parlano. Ci vogliono sacerdoti che gridano.”
La comunità che cammina con il suo Pastore