Prima lettera pastorale “Amato Gargano! …per continuare ad EDUCARE generando nella Misericordia”

Amato Gargano!

… per continuare ad EDUCARE generando nella Misericordia

 

I PARTE

Miei carissimi fratelli e sorelle in Cristo dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo,

per prima cosa desidero rinnovare il saluto pasquale del Risorto con le parole che Gesù rivolge con insistenza ai discepoli durante le apparizioni: pace a voi! (Gv, 20, 19.20.26)

Le giornate inedite e preoccupanti che abbiamo vissuto con trepidazione e timore e che stiamo continuando a vivere con preoccupazione, determinate dalla diffusione della pandemia da Covid-19, hanno fatto emergere e aumentare di numero tante situazioni di povertà individuali, familiari, sociali e stanno mettendo a dura prova la nostra economia, già profondamente indebolita da difficoltà e carenze pregresse e dall’illegalità diffusa. Nello stesso tempo, sul piano socio religioso e socio culturale abbiamo osservato insieme a mirabili testimonianze di servizio al prossimo, anche maggiore asprezza, durezza e intolleranza, paura e scetticismo nelle relazioni umane.  Domandiamoci quindi: come la nostra Chiesa che è nel Gargano intende rispondere a tali situazioni e aiutare il popolo a ripartire per costruire un futuro più sano e sicuro? Come accoglie queste sfide come appelli al Vangelo e segni del tempo?

La Sacra Scrittura invita a più riprese a vivere i sogni di Dio. Essi giungono all’uomo attraverso tante mediazioni e insospettabili strumenti: sia mediante l’ascolto costante e attento della Parola di Dio, sia intercettando la voce, che spesso si fa grido e sconforto, di coloro nei quali Gesù ha deciso di nascondersi, gli ultimi, i poveri, gli ammalati, gli emarginati, i migranti. Papa Francesco mentre ci parla di misericordia e di tribolazione, come chiavi di lettura della nuova epoca, ci invita contemporaneamente a sognare. Lo ha fatto in modo splendido e poetico a nell’ultima Esortazione apostolica. Sono convinto che il documento pontificio, Querida Amazonia (QA), frutto dell’ultimo Sinodo ed uscito pochi giorni prima dello scoppio della pandemia, possa offrire la possibilità di prospettare percorsi nel segno del Vangelo utili anche per regioni diverse dall’Amazonia: nel nostro caso per l’Amato Gargano. Con questa convinzione assumere i quattro sogni, evidenziati nell’Esortazione apostolica, diventa una modalità in grado di guidare lo sviluppo della nostra Chiesa e del suo territorio prospettandone un futuro solidale, sostenibile e pieno di speranza, seguendo la logica dell’ecologia integrale. Ecco in ordine i quattro sogni, come elencati al n. 7 di QA, che possiamo dedicare al nostro Amato Gargano:

  1. Sogno sociale: lottare per i diritti dei più poveri.
  2. Sogno culturale: difendere la ricchezza culturale.
  3. Sogno ecologico: custodire gelosamente l’irresistibile bellezza.
  4. Sogno ecclesiale: comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi.

L’auspicio che ci facciamo è che la Chiesa dell’Amato Gargano apprenda veramente a sognare, a tenere occhi aperti sul presente e a guardare oltre, verso il futuro che le viene incontro. Una Chiesa che non sogna è una Chiesa stanca, ripiegata su sé stessa, prigioniera dell’ordine esistente, che si illude di essere viva, ma che sa solo guardarsi allo specchio, mentre lo Spirito Santo la spinge a guardare fuori, a rompere tutti gli specchi![1]. Proviamo ad entrare in ognuno di questi sogni, adattandoli al nostro ambiente socioculturale, al territorio in cui viviamo e di cui siamo custodi ed alla Chiesa specifica di cui siamo figli e discepoli-missionari. Realizziamo questi quattro sogni continuando a lasciarci guidare dalle quattro tematiche che ho consegnato lo scorso anno pastorale alle nostre comunità ecclesiali[2]. Si tratta di sogni capaci di dare forza e contenuto all’impegno di EDUCARE generando nella Misericordia.

Il primo sogno (anelito SOCIALE: lottare per i diritti dei più poveri) ci chiede di metterci in ascolto del POPOLO concreto di cui siamo parte. E di questo Popolo i primi a cui dobbiamo rivolgere con attenzione il nostro orecchio sono i poveri, gli ultimi: essi non sono “interlocutori qualsiasi, ma i principali protagonisti”, solo partendo da loro, dalla parte apparentemente più fragile e periferica, possiamo imparare a fare discernimento concreto e a stabilire l’agenda delle priorità (QA 26-27). La voce profetica della Chiesa deve essere di indignazione per le ingiustizie ed i crimini (cf. Es 11,8; Mc 3,5 in QA 15), di impegno e lotta per i cambiamenti (QA 15,19-20) e di promozione perché ognuno possa avere il diritto di interpretare il proprio ruolo da protagonista. Guardando alla situazione concreta del nostro ambiente garganico ci domandiamo: quali effetti sta portando la cultura della globalizzazione nelle nostre comunità cittadine? Come assicurare “una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione” (QA 14, 17)? Quali scelte compiere perché nessuno resti escluso dai benefici e finisca per essere scartato? Come partire dalle nostre periferie geografiche ed esistenziale e dagli ultimi per cercare di renderli protagonisti? Lottare per il sogno sociale diviene “un canto di fraternità e solidarietà”, “uno stimolo per la cultura dell’incontro”, un modo per testimoniare come il Vangelo sia “carità divina che promana dal cuore di Cristo e che genera una ricerca di giustizia” (QA, 22).

Per dar respiro al primo sogno possono aiutarci le suggestioni raccolte nella mia Lettera pastorale circa l’educazione alla socialità e alla diaconia del lavoro (pp.73-80).

Il secondo sogno (tema CULTURALE: difendere la ricchezza culturale) interpella la dimensione educativa e ci chiede di promuovere la società ed il territorio garganico coltivando una visione comune “senza sradicare sensibilità differenti”, di stimolare una crescita d’insieme senza livellare le diverse identità, di essere promotori di percorsi fecondati dal messaggio evangelico senza invadere spazi che non ci appartengono (QA 28). Si tratta di aiutare le nostre città ad essere luoghi di incontro, di mutuo arricchimento, di fecondazione tra opinioni e visioni plurali, evitando il rischio che si trasformino in scenari “che vanno ad allungare la fila degli scartati” (QA 30). Il Gargano può essere visto, come sembra abbia fatto San Pio da Pietrelcina, come “una cattedrale del creato”: proprio qui tra noi, grazie a un magnifico territorio abitato e le caratteristiche culturali, Dio “adattandosi alla geografia ed alle sue risorse … si manifesta e riflette qualcosa della sua inesauribile bellezza” (QA 32). È importante che tutti gli abitanti del Gargano si sentano e diventino i custodi di tale irresistibile bellezza, che attraverso il dono di un paesaggio unico si fa palcoscenico di ricchezza culturale. È auspicabile recuperare e conservare il patrimonio culturale della nostra terra garganica, e quindi “lasciare che gli anziani facciano lunghe narrazioni” (Christus vivit -CV 40) e che “i giovani si fermino a bere a questa fonte” (QA 34), che potrà tornare a zampillare in maniera inedita e fresca nel cuore delle nuove generazioni. Solo grazie al proprio patrimonio culturale, che racconta una storia vissuta da generazioni, si diventa capaci di compiere un discernimento più solido rispetto alle fragilità della cultura globalizzata che si respira. La cura delle radici permette “di sedere al tavolo comune” del confronto pluriculturale e multi etnico, facendo delle diversità un ponte e non un muro, opportunità prima che rischi e ci farà sperimentare come “la diversità abbellisce la nostra umanità” (QA 37). Si tratta quindi di privilegiare la via dello “stare con”, avviando processi, lasciando che si aprano da sé degli spazi di collaborazione e condivisione. Senza mettere in discussione la propria identità e confidando in quella forza salvifica del Nome di Gesù che, come ricordava don Sturzo, portiamo tutti “nascosto sul petto”. Basta che stia lì “sul petto” e non in proclami gridati o ostentati, perché Lui possa agire.

A questo riguardo, per appoggiare il sogno culturale, può diventare utile far riferimento a quanto scritto nella Lettera pastorale a proposito di educazione alla affettività e proposta della bellezza della famiglia (pp.69-73).

Il terzo sogno (soffio ECOLOGICO: custodire gelosamente l’irresistibile bellezza) ci chiede, anche alla luce dell’enciclica Laudato Si’ (LS) – in questo anno a lei dedicato -, di diventare custodi premurosi e generosi della nostra terra, dei nostri paesaggi, delle bellezze naturali, di tutto l’ecosistema nel quale viviamo, che abitiamo e dal quale ricaviamo le risorse di sostentamento economico. Non possiamo rendere la vita migliore e sicura se non ci prendiamo cura nella maniera giusta e completa dell’ecosistema che abitiamo, vigilando sulle fonti di inquinamento in costante crescita (LS 28-31). “L’interesse di poche imprese potenti”, appoggiate sulla logica e dittatura del mercato, “non dovrebbe  essere messo al di sopra del bene comune” che è patrimonio dell’intera umanità (QA 48) e garanzia di civiltà e pace. “Il Signore, che per primo ha cura di noi, ci insegna a prenderci cura dei nostri fratelli e sorelle e dell’ambiente che ogni giorno Egli ci regala. Questa è la prima ecologia di cui abbiamo bisogno” (QA 41). È bene coniugare la saggezza di vita con “le conoscenze tecniche contemporanee, sempre cercando di intervenire sul territorio in modo sostenibile” preservando uno stile di vita sobrio e rispettoso basato su un sistema di valori evangelici (QA 51). Tutto questo ci chiede uno sguardo contemplativo capace di accorgersi delle cose belle da preservare, come pure di quelle che non possono essere accettate, alle quali rischiamo sempre di abituarci, perché “la coscienza diventata insensibile” facilmente giustifica i propri comportamenti “mantenendo stili di vita, di produzione e di consumo” scorretti (QA 53). “Il mondo – come ricorda in Papa nell’Enciclica Laudato si’ – non si contempla dal di fuori, ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri” (LS 220). Questo significa che non si fugge dalla storia: come il Cristo si è incarnato e fatto storia, così la Chiesa è chiamata ad incarnarsi nella storia. “Non ci sarà ecologia sana e sostenibile, in grado di cambiare qualcosa, se non cambiano le persone, se non le si sollecita ad adottare un altro stile di vita, meno vorace, più sereno, più rispettoso, meno ansioso, più fraterno” (QA 58). La Chiesa con la sua lunga tradizione spirituale e educativa può offrire un grande contributo a tutti favorendo cambiamenti di abitudini e comportamenti capaci di sostenere l’ecologia integrale, capace di ascoltare in contemporanea il grido della terra e degli ultimi.

Per dar corpo al terzo sogno vengano riprese le pagine della mia Lettera pastorale circa l’educazione alla legalità (pp.80-84) ed il messaggio dei Vescovi della Capitanata per la Quaresima 2020 dal titolo Per amore del nostro popolo (Is 62, 1).

Il quarto sogno (ispirazione ECCLESIALE: comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi) ci conferma nella certezza che, se la Chiesa e il Vangelo devono continuare ad incarnarsi nella nostra terra, “deve risuonare sempre e nuovamente il grande annuncio missionario” (QA 61). L’autentica scelta per i più poveri e dimenticati implica che portiamo ad essi come primo dono l’annuncio del Signore che ama e salva. “In loro riconosciamo il Cristo” vivo nella carne e “scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre” (QA 63), ed essi scoprono di avere il diritto non solo ad ogni aiuto possibile, ma soprattutto all’annuncio kerygmatico di Dio che li ama infinitamente e li salva gratuitamente (CV capitolo IV). Gesù alle folle stanche, oppresse e affamate dona loro per prima cosa la sua Parola, si mette ad insegnare, e dopo insieme ai discepoli se ne prende cura (Mc 6,34). E agli stessi discepoli, di ritorno entusiasti dalla loro prima esperienza di missione, ma anche stanchi e provati, dopo averli chiamati in disparte, in un luogo deserto, dona loro il sollievo della sua presenza, dello stare con Lui (Mc 6,31). Come far giungere questo annuncio essenziale e fondamentale agli uomini della nostra terra e del nostro tempo? È la domanda che sempre deve accompagnare la comunità cristiana sapendo che l’annuncio del kerygma e la testimonianza dell’amore fraterno “costituiscono la grande sintesi dell’intero contenuto del Vangelo” (QA 65). La Chiesa cresce quando annuncia e ascolta: ascolta Dio, attraverso la docilità allo Spirito, e ascolta l’uomo nel contesto del proprio tempo. La Chiesa cresce quando il suo annuncio passa attraverso l’ascolto, che riconfigura continuamente la sua identità e promuove il dialogo con le persone, con la realtà e le storie del territorio. Le nostre tradizioni culturali, che comprendono varie forme di pietà popolare (cf Evangelii Gaudium – EG – 123), devono essere sempre custodite con rispetto e, al tempo stesso, stimolate dalle esigenze di una fede autentica, sapendo che “quando una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo” (EG 116). Chi annuncia non solo feconda gli altri, ma viene fecondato egli stesso, perché lo stesso Spirito Santo permette che si maturino, attraverso ogni incontro e ogni novità, sintesi nuove ed eloquenti. “L’autentica Tradizione della Chiesa non è un deposito statico, né un pezzo da museo, ma la radice di un albero che cresce” (QA 66), allora  “non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!” (QA 69).

Per dar ali al quarto sogno possono risultare appropriate le riflessioni della mia Lettera pastorale sull’educazione alla missionarietà (pp. 64-69).

Ci si potrebbe chiedere come mai la riflessione pastorale della Chiesa debba partire prima dai sogni sociale, culturale ed ecologico per arrivare solo dopo a quello ecclesiale. La risposta sta nella consapevolezza che “dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana” (EG 178). L’esperienza della vita, che è maestra, ci conferma come solo un ascolto attento, immerso nella concretezza della storia e permeato dalla geografia del territorio, permette di cogliere le profondità e le novità del Vangelo per ogni epoca e situazione. Allora che questo nuovo anno pastorale, segnato dall’esperienza tragica del coronavirus, sia dedicato in modo particolare all’ascolto. Perché? Perché ascoltare è l’atteggiamento fondamentale della nostra fede ebraico-cristiana: il verbo ascoltare è quello più ripetuto nella Sacra Scrittura, e nell’antico Testamento tiene il posto del verbo credere, diventandone la condizione essenziale per professare la fede in Dio. Chi non ascolta, non può credere nel Dio che si rivela. Oltre a questa motivazione teologica si impone, ancora più urgente e inserita nell’oggi, quella esistenziale, che ci chiede di saper leggere i segni dei tempi (Mt 16, 2-3) per rispondere responsabilmente. Pertanto quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo a causa della pandemia chiede un discernimento personale e comunitario attento e continuativo. È opportuno crescere sempre più in questa competenza di autentico ascolto esistenziale, spirituale e pastorale a tutti i livelli.

L’ascolto ci suggerisce ancora una caratteristica importante e sempre urgente per l’efficacia della pastorale. Essa deve partire dal discernimento comunitario, che veda l’apporto sempre più significativo dei laici, dato che «la nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati» (EG 120). Le famiglie, i giovani, il mondo del lavoro, i responsabili delle scelte economiche e politiche non possono presentarsi solamente come i destinatari delle proposte o dei progetti pastorali, ma devono porsi come i punti prospettici da cui osservare la storia e scegliere la direzione ed i cammini da intraprendere: sono essi, in virtù del sacramento del battesimo, i principali soggetti e protagonisti dentro il tessuto della società civile. Solo col contributo dei laici le nostre comunità ecclesiali sono in grado di cogliere le sfide sociali, culturali ed ecologiche, provenienti dal territorio, per offrire a tutti un annuncio del Vangelo davvero incarnato nella vita di ogni giorno. Per questo motivo, ho pensato di affidare ad un gruppo di laici l’Ufficio diocesano per il laicato con l’impegno di stimolare in maniera sostanziale il discernimento, che sempre deve accompagnare le proposte della pastorale diocesana.

Veramente l’annuncio passa attraverso l’ascolto, ci educa e ci rende educatori credibili ed efficaci! Come ho ricordato nella lettera pastorale ascoltare è il primo verbo ausiliare di educare, in tutte e tre le forme: passiva, riflessiva e attiva[3].

Un significativo annuncio del Kerygma è possibile solo se produce inculturazione del Vangelo, che a sua volta è possibile se impara la grammatica della vita, che si riscrive ad ogni voltar pagina della storia. “Così risplenderà la vera bellezza del Vangelo, che è pienamente umanizzante, che dà piena dignità alle persone, che riempie il cuore e la vita intera” (QA 76). Le nostre liturgie devono essere l’offerta del Popolo a Dio, e occasione per essere nuovamente confermati come Popolo santo di Dio, la cui identità profonda si svela solo nella convocazione da parte del Padre, che col dono de “lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo” (Preghiera Eucaristica II), il corpo vivo di Cristo che si incarna nella Chiesa Popolo santo amato dal Padre. L’Apostolo Paolo precisa efficacemente arricchisce la categoria veterotestamentaria di “popolo di Dio” completandola con quella di “popolo di Dio convocato e riunito”: appunto ekklesia-Chiesa (1 Ts 1,1; 2,14; 2 Ts 1,1; Gal 1,22). In questo modo la vita reale non resterà mai fuori dal misterioso scambio di doni, che collega “la nostra povertà e la sua grandezza”: veramente “i Sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli” (QA 84).

Una domanda riunisce insieme i quattro sogni: quale santità genera e rende annuncio missionario la nostra Chiesa che è nell’Amato Gargano? La stessa geografia del Gargano parla e si fa icona di santità. Ripeto qui quanto ho scritto nel messaggio ai turisti per l’estate 2020: “l’arcidiocesi custodisce tantissimi luoghi di culto, di architettura raffinata, autentiche oasi dello spirito, come la grotta delle apparizioni dell’Arcangelo Michele, il convento e santuario che accoglie le venerate spoglie di San Pio da Pietrelcina, le antiche abbazie di San Leonardo e di Pulsano, le cattedrali di Siponto e di Vieste, vari santuari dedicati alla Vergine a Rodi Garganico, alle Isole Tremiti, a Vieste: non c’è cittadina che non offra qualche tesoro da scoprire e gustare. Inoltre la Foresta Umbra si presenta come il polmone di quella Cattedrale del creato di cui pare parlasse San Pio da Pietrelcina, vero luogo di silenzio, monastero naturale fruibile a tutti”. E la storia ci racconta come la nostra Chiesa e territorio siano stati palestra di santità fin dai primi secoli e ci consegna un patrimonio di santità da custodire e sviluppare. Godiamo di esempi luminosi da seguire, che sono anche una fonte importante per l’economia locale: cito i due più recenti. La santità di San Camillo de Lellis e di San Pio da Pietrelcina, nati altrove ma diventati nostri concittadini, ha fecondato la nostra storia e il nostro territorio.

San Camillo de Lellis proprio nella nostra terra fu raggiunto dalla grazia della conversione. Conservando nel cuore le parole di padre Angelo, OFM Capp, del Convento di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo, “Dio è tutto … il resto è nulla”, proprio sulla strada da San Giovanni a Manfredonia, nel silenzio di una via che s’inerpicava tra pietre, rovi e cardi, attraversando le colline e guardando al golfo, dove anche il contesto ambientale si allea con la divina Provvidenza, elevò il suo grido al Signore. E da lì in poi, questo giovane segnato dalle ferite della vita, riconoscerà Gesù da accogliere e servire tra i poveri e gli ammalati. Il salmo 25 ricorda che Dio ascolta il grido dei poveri, degli umili e dei peccatori, di chi non può contare sulle proprie forze o su quelle dei potenti, di chi confida nel Signore e di chi riconosce il proprio peccato e limite.

Padre Pio si prese cura di questi “profili” graditi al Signore. Scrive il santo Frate in una lettera del 20 novembre del 1921, in un tempo nel quale l’umanità tutta cercava di risollevarsi dalla terribile influenza spagnola che aveva mietuto milioni di vittime, “il tutto si compendia in questo: sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo” (Ep. I, 1247). Padre Pio vede di Dio “la sua bellezza, i suoi sorrisi, ed i suoi turbamenti, le sue misericordie, le sue vendette o meglio i rigori della sua giustizia” (ibid), e riesce anche a cogliere il contristarsi del Signore per il male ed il suo lottare per l’uomo afflitto ed affranto. P. Pio soffre, prega, spera e si impegna praticamente confidando nel Dio della Misericordia affinché preservi dal male il suo Popolo. Da parte sua offre ancora un servizio, tra l’altare e il confessionale, perché l’uomo abbandoni la via del male e le sue opere d’ingiustizia, i sentieri tortuosi che si smarriscono, e scelga la via del bene (cf. Sal 1). Fino ad osare dire a Dio nella preghiera: “o perdona questo popolo o cancellami dal libro della vita (Es 32,31-32)” (Ep. I, 1247).

Santi fragili, entrambi segnati da sofferenze fisiche, ma proprio per questo capaci di prendersi cura delle fragilità altrui. Entrambi dediti alla carità nei confronti degli infermi, sono stati testimoni di una relazione forte con Dio che non ha annullato la loro fragilità, ma l’ha resa strumento di salvezza per il prossimo: sono diventati samaritani dell’umanità ferita e agonizzante sul ciglio delle strade della storia (cf Lc 10, 25-37). La loro esperienza e testimonianza continua ad essere possibile ancora oggi nel nostro Amato Gargano! Non disperiamo!

Amato Gargano in te è germogliato il seme del Vangelo, seminato con generosa abbondanza ha portato frutto in mirabili testimonianze umane e opere della divina Provvidenza, come quel “tempio di preghiera e di scienza” che è “Casa Sollievo della Sofferenza”, ma anche nelle numerose parrocchie e nelle molteplici attività di servizio al prossimo, ai poveri e agli ultimi, sparse nel nostro territorio.

Amato Gargano, non temere di sognare, di sognare ad occhi aperti sul tuo territorio e sulla tua storia, di sognare in pieno giorno. Scoprirai di possedere un autentico anelito sociale, di possedere temi culturali, di respirare soffi di atmosfera ecologica, di vivere di un’autentica ispirazione ecclesiale. Del grande vescovo brasiliano, testimone e protagonista del Concilio, Hélder Pessoa Câmara, si dice che aggiungesse alle otto beatitudini evangeliche una nona: beati coloro che sognano insieme, perché corrono il rischio di vedere i loro sogni realizzati! Questo può avverarsi anche per noi in Gargano.

Incoraggiato da tutto ciò, o Amato Gargano, cerca il Signore con tutto il cuore, e a partire da quanto oggi ti rende fragile, prenditi cura dei fratelli e delle sorelle e dell’ambiente, inebria la tua storia e la meravigliosa tua terra del profumo soave di Cristo (2Cor 2, 15)!

 

 II PARTE

 

            Si ripropone il testo delle quattro Linee Pastorali elaborate nella Lettera Pastorale 2019-2020, che continuano ad essere guida per l’anno pastorale 2020-2021. Al verbo EDUCARE dedichiamo ancora l’impegno di un anno. Anno particolare, che continua ad essere segnato dalla pandemia del coronavirus, ma che porta con sé il sogno di una ripartenza e rinascita a tutti i livelli: sociale, culturale, ecologico e ecclesiale. INSERIRE ALLINIZIO QUESTE 5 RIGHE

 

  1. Educazione alla missionarietà

 

La parabola del Seminatore ci indica che un ambito cruciale della nostra attuale opera educatrice riguarda l’educazione alla missionarietà. Purtroppo la missionarietà è stata spesso fraintesa come un carisma riservato a pochi eletti. Al contrario essa costituisce la dimensione costitutiva e la motivazione fondante di tutta la Chiesa, e perciò il modo d’essere per tutti i battezzati. La missionarietà è una dimensione fondamentale del nostro essere discepoli di Gesù. Inizialmente, infatti, la prima comunità cristiana è nata come comunità missionaria, cioè inviata dal suo Maestro ad annunciare – cioè ad educare – le genti affinchè il Vangelo permeasse di sé tutte le culture nel tempo e nello spazio.

Questo aspetto è stato messo in evidenza da San Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica dal titolo eloquente Redemptoris Missio: «Ripensiamo cari fratelli e sorelle, allo slancio missionario delle prime comunità cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di comunicazione di allora, l’annuncio evangelico raggiunse in breve tempo i confini del mondo e si trattava della religione del Figlio dell’uomo morto in croce, “scandalo per gli ebrei e stoltezza per i pagani!” (1Cor 1, 23). Alla base di un tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime Comunità» (RM 90).

La spinta missionaria nasce anche dal fatto che, come ci ha ricordato Papa Francesco, «Ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti. Ciò è tanto più necessario se consideriamo quante ingiustizie, guerre, crisi umanitarie oggi attendono una soluzione. I missionari sanno per esperienza che il Vangelo del perdono e della misericordia può portare gioia e riconciliazione, giustizia e pace. Il mandato del Vangelo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20) non si è esaurito, anzi ci impegna tutti, nei presenti scenari e nelle attuali sfide, a sentirci chiamati a una rinnovata uscita missionaria»[4]. Sempre Papa Francesco nel discorso ai Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie del 01 giugno 2018 ha affermato sull’identità della missione cristiana: «Non abbiamo un prodotto da vendere, ma una vita da comunicare … Lascio a Lui[5] di essere il protagonista o voglio addomesticarlo, ingabbiarlo nelle tante strutture mondane che, alla fine, ci portano a concepire le Opere Missionarie Pontificie come una ditta, come un’impresa, una cosa nostra?

Vi invito a vivere questa fase di preparazione come una grande opportunità per rinnovare l’impegno missionario della Chiesa intera. Ed è anche occasione provvidenziale per rinnovare le nostre Pontificie Opere Missionarie: sempre si devono rinnovare le cose, il cuore, le opere, le organizzazioni, perché al contrario finiremmo tutti in un museo. Dobbiamo rinnovare per non finire in un museo ….

Noi non abbiamo un prodotto da vendere, non c’entra qui il proselitismo, ma una vita da comunicare: Dio, la sua vita divina, il suo amore misericordioso, la sua santità! Ed è lo Spirito santo che ci invia, ci accompagna, ci ispira, è Lui l’autore della missione. Lui che porta avanti la Chiesa non noi. Possiamo domandarci: lascio a Lui di essere il protagonista o voglio addomesticarlo, ingabbiarlo nelle tante strutture mondane che alla fine ci portano a concepire le opere missionarie come una ditta, come un’impresa, una cosa nostra ma con la benedizione di Dio? No, non va. Dobbiamo farci questa domanda: lascio che sia Lui, o lo ingabbio? Lo Spirito santo fa tutto, noi siamo soltanto servi di Lui e del modo col quale agire».

Se è vero che ogni azione di comunicazione evangelica e di servizio nella carità è già di per sé un’azione missionaria, ne consegue che ogni cammino di fede dovrebbe essere allo stesso tempo anche un cammino missionario. Siamo consapevoli però che la nostra coscienza missionaria nasce sempre dalla celebrazione del mistero di Cristo, e quindi dalla liturgia, dove, nutriti alla mensa della Parola e del pane, ogni battezzato trova la forza per farsi missionario. Scrive ancora Giovanni Paolo II nel documento citato: «Il missionario deve essere un “contemplativo in azione”. Egli trova risposta ai problemi nella luce della Parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, in particolare di quelle dell’Asia mi ha dato conferma che il futuro della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo non può annunciare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell’esperienza di Dio» (RM 91).

Nei numerosi viaggi che ho fatto in Asia, come superiore generale della mia Congregazione, posso confermare che ho provato lo stesso sentimento e fatto esperienza della stessa impressione descritta da Papa Wojtyla.

Educare alla missionarietà significa educare all’universalità e alla mondialità per superare il rischio di rimanere incapsulati in identità localistiche rigidamente chiuse; promuovere la solidarietà dei popoli a partire dalle nostre realtà locali in vista di una fraternità universale. Si tratta di educare più alla geografia dei cuori che a quella dei luoghi fatta di confini e di frontiere; sensibilizzare alla convivenza pacifica, promuovendo uno sviluppo equo e solidale e un consumo ispirato alla sobrietà, per evitare che la logica della globalizzazione soffochi la giusta aspirazione dei popoli ancora in via di sviluppo a raggiungere livelli di vivibilità accettabili e rispettosi della dignità della persona umana.

Educando alla missionarietà nelle nostre parrocchie, gruppi e associazioni daremo un grande contributo a prevenire fenomeni di razzismo e di xenofobia, promuovendo un clima di dialogo interculturale e interreligioso, di accoglienza e di ospitalità, per contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, sempre più sfacciata e contemporaneamente surrettizia.

L’educazione alla missionarietà deve interessare soprattutto i giovani allo scopo di suscitare in loro sentimenti che facciano scavalcare il muro dell’egoismo, dei ripiegamenti, della ricerca di sé e dei propri bisogni spesso indotti ed effimeri. Occorre metterli di fronte a piccole e grandi responsabilità nei confronti dei fratelli meno fortunati, per renderli protagonisti di gesti di solidarietà che rompano il cerchio del narcisismo oggi imperante e li aprano al dono di sé.

Concretamente, alcune iniziative che possono contribuire alla realizzazione di tale dimensione educativa potrebbero essere i gemellaggi delle nostre parrocchie con le tante comunità missionarie sparse nei paesi in via di sviluppo. So che da molti anni alcune comunità parrocchiali già lo fanno, ed ho avuto modo di verificare gli effetti positivi sia ad extra (verso le chiese e le comunità dei paesi detti “di missione”), che ad intra: si tratta di un valore aggiunto, che rende le nostre comunità ed ambienti più aperti e quindi più “universali-cattolici”. Sarebbe bello se tali buone pratiche di vita evangelica fossero attuate in tutta la diocesi coordinate dall’Ufficio missionario diocesano.

L’educazione alla missionarietà oggi tocca in modo particolare il mondo della comunicazione, di internet e dei nuovi social: sono entrati ormai con prepotenza nelle nostre vite, costituiscono quello che è stato chiamato il “sesto continente”.

La Chiesa, tanto universale che locale, non può non accogliere la sfida che ne proviene, non solo per adattarsi ai tempi che cambiano, ma per evangelizzare questo tempo di “cambiamento d’epoca”. Anche in questo campo ci è di esempio Papa Francesco, tanto attento ai nuovi ambienti comunicativi e alle reti sociali, tanto da essere presente in prima persona con l’account @Pontifex su Twitter e @Franciscus su Instagram.

Trovo stupende ed educative queste affermazioni del Pontefice: “L’uso del social web è complementare all’incontro in carne ed ossa (…) quando una famiglia usa la rete per essere più collegata, e poi incontrarsi a tavola e guardarsi negli occhi, allora è una risorsa. Quando una comunità ecclesiale coordina la propria rete, per poi celebrare l’Eucaristia insieme, allora è una risorsa. Quando la rete è occasione per avvicinarmi a storie ed esperienze di bellezza o di sofferenza fisicamente lontane da me per pregare insieme e insieme cercare il bene nella riscoperta di ciò che ci unisce, allora è una risorsa”. La rete dunque come strada per il dialogo, per l’incontro e per il sorriso e continua “non per intrappolare, ma per custodire una comunione di persone libere dove l’unione non si fonda sui like, ma sulla verità, sull’amen, dove ognuno aderisce al corpo di Cristo, accogliendo gli altri”[6]. Può esistere, ed esiste, pensiamo all’esempio del Servo di Dio Carlo Acutis, un uso missionario del web che diventa uno strumento per unire, chiamare, condividere, comunicare, dialogare, informare, raccontare la realtà ecclesiale attraverso un mezzo in grado di raggiungere tutti, soprattutto i giovani, in grado di annunciare il Vangelo sino ai confini della terra (Cf. At 1, 8). Una sfida della pastorale oggi, è proprio quella di preparare operatori capaci di muoversi a proprio agio e comunicare col linguaggio corretto in questa nuova terra di missione che è il web.

Educare alla missionarietà comporta evangelizzare il continente dei social attraverso gli strumenti dei social: di sicuro si riuscirà a raggiungere, “abitando” questo spazio virtuale e reale, tanti cuori di giovani che rischiano di rimanere per sempre lontani dall’annuncio del Vangelo, visto che non frequentano altri luoghi!

Infine invito tutti, non solo gli operatori pastorali ed educatori, ad approfittare del prossimo mese di ottobre 2019, quale mese missionario straordinario, per prepararci agli imminenti orientamenti CEI per il quinquennio 2020-2025 che avranno proprio a tema la missionarietà.

  1. Educazione alla affettività e proposta della bellezza della famiglia

Stando alla parabola del Seminatore che ci parla di diversi tipi di terreni in cui il seme della Parola deve essere gettato, non si può non tenere conto che uno degli ambiti nei quali è sempre più urgente intervenire riguarda il campo dei sentimenti, delle emozioni e degli affetti che insieme costituiscono l’educazione all’affettività e alla sessualità. Tale urgenza non riguarda solo coloro che devono prepararsi al matrimonio. Quando facciamo questo, penso che potrebbe già essere troppo tardi. Ritengo invece che si tratti di una necessità che attraversa in modo trasversale molti ambiti e molti destinatari della nostra catechesi e della pastorale in genere: infanzia, adolescenza, giovani, fidanzati, adulti sposati e non, divorziati e separati, coppie ferite, famiglia e scuola, senza escludere i sacerdoti e religiosi/e.

Di tale necessità si è fatto carico Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, specialmente nei numeri 280-286 che ripropongo a tutti come oggetto di studio e di approfondimento nei vari momenti formativi. Il pontefice constata che ormai «E’ difficile pensare l’educazione sessuale in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità. Si potrebbe intenderla solo nel quadro di una educazione all’amore, alla reciproca donazione» (Cf. AL 280).

Ritengo che molti nostri sforzi dedicati all’annuncio della Parola, all’evangelizzazione e alla comunicazione della fede, cadano nel vuoto nella misura in cui non riusciamo a fare venire fuori la visione cristiana dell’amore, dell’affettività, della corporeità e della sessualità. Proprio i conflitti interiori, a loro volta generati da una percezione distorta dei propri sentimenti e dei propri affetti, spesso costituiscono un ostacolo nella recezione del messaggio evangelico. Una visione sbagliata dell’idea dell’amore getta molte ombre sul nostro annuncio incentrato sul Dio-amore.

Con i nostri percorsi educativi dobbiamo dissodare il terreno di molte coscienze per aprire i cuori delle persone ad una autentica visione cristiana dell’amore, secondo cui siamo tutti chiamati ad amare e ad essere amati, e a intendere questo amore non come possesso o pura emozione che ci deve a tutti i costi gratificare, ma come sentimento radicato nella logica del dono che a volte richiede rinuncia e abnegazione.

L’educazione affettivo-sessuale, da rivolgere soprattutto agli adolescenti e ai giovani, ma non solo, deve mirare a una educazione integrale della persona. Lo scopo principale dovrebbe essere quello di accompagnarli nella comprensione della propria identità di persona composta di ragione, cuore, corpo e spirito, chiamata a vivere e a realizzare la propria dimensione relazionale e dialogica, intessendo legami solidi con gli altri nel segno del rispetto della propria e altrui dignità.

Si tratta di una grande opera di seminagione che trova la propria giustificazione in almeno tre grandi motivi.

Il primo motivo riguarda la necessità di contrastare tre macrofenomeni culturali oggi imperanti:

  • il narcisismo (analizzato e criticato da Papa Francesco in Amoris laetitia) quale vero ostacolo all’esperienza dell’amore maturo inteso come dono libero e gratuito di sé;
  • l’emozionalismo (analizzato e criticato da Benedetto XVI in un documento fondamentale del suo pontificato, che non può essere dimenticato: Deus Caritas est) che riduce l’amore da sentimento e da virtù a pura emozione ed ebbrezza;
  • l’iperedonismo che confonde la gioia dell’amore con il piacere illimitato di un capriccio momentaneo.

Tutti questi aspetti rappresentano dei grandi ostacoli che impediscono un’adeguata recezione della visione cristiana dell’affettività-sessualità che, nonostante tutto, noi ci sforziamo di proporre durante il nostro annuncio e i nostri percorsi di catechesi. Essi infatti minano alla base l’affettività sia degli adolescenti-giovani che degli adulti, creando così quelli che ormai tutti conosciamo con il nome di legami liquidi.

Il secondo motivo chiama in causa la necessità di confrontarci con almeno quattro gravi processi socio-culturali che sono la diretta conseguenza dei tre fenomeni citati sopra:

  • il primo riguarda la generale banalizzazione della sessualità offerta dai mass media e dai social network;
  • il secondo concerne il fatto che i giovani si interfacciano con adulti i quali dovrebbero imparare essi per primi a vivere con maturità la propria vita affettiva;
  • il terzo è dato da tutti quei fraintendimenti che investono sia l’esperienza dell’innamoramento che quello dell’amore;
  • il quarto ci rimanda al processo di mercificazione dei corpi che continuamente subiscono violenza, strumentalizzazioni e travisamenti.

Il terzo e ultimo motivo riguarda il fatto che, in tale contesto di narcisismo e di relativismo etico e conoscitivo, ormai da qualche anno si fa diffondendo l’ideologia del Gender.  Tale fenomeno non è passato inosservato agli occhi della Congregazione per l’Educazione Cattolica, la quale, per fare discernimento a riguardo, ha recentemente pubblicato un importante documento dal titolo significativo “Maschio e femmina li creò[7]. Una presentazione di questo recente documento si trova nella terza parte di questa mia Lettera dedicata alla sezione “strumenti”, costituisce il quarto strumento.

Con questi percorsi educativi non vogliamo sostituirci alle famiglie. Tutt’altro, vogliamo responsabilizzarle senza però lasciarle sole. Desideriamo metterle di fronte a tali sfide e affiancarle, per aiutarle a portare avanti il compito prezioso di rendere i propri figli capaci di vivere in pienezza la loro vocazione all’amore nelle sue diverse espressioni, secondo il progetto che Dio ha riservato per ciascuno di loro. Il messaggio cristiano sarà vincente in questo campo se riuscirà a presentare, quello che chiamiamo, il Vangelo della famiglia. Dobbiamo testimoniare e far vedere quanto sia bello essere famiglia, e quanto la famiglia possa dire la bellezza di Dio. Come ho detto più sopra, oggi c’è bisogno del linguaggio della filocalia: e la famiglia può dire ancora alla società e cultura di oggi la sua bellezza. Veramente non si evangelizza con le idee e teorie, ma con l’attrazione della realtà bella e buona della famiglia secondo il Vangelo.

 

  1. Educazione alla socialità e alla diaconia del lavoro

Non basta però evangelizzare i sentimenti ed educare l’affettività per rendere i legami affidabili e duraturi se questa non si traduce in socialità. Non siamo individui isolati, bensì membri di una comunità, di una città la cui società civile ci interpella. Perciò va legata all’educazione della affettività quella della buona socialità. Ci ricorda Papa Francesco: «Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità» (EG 177).

Oggi prevale l’individualismo e difficilmente sappiamo coltivare il senso comunitario delle cose. Questo aspetto vale soprattutto per i problemi legati all’economia e ai processi produttivi della ricchezza. Come credenti siamo chiamati a contribuire al progresso dei nostri territori e comunità locali di appartenenza, dimostrando la forza trasformante e feconda del Vangelo. Si tratta di far entrare il messaggio evangelico anche nel modo di fare impresa e in quello di affrontare il tema scottante del lavoro[8].

Da credenti non possiamo chiudere gli occhi di fronte ad una delle piaghe più tristi che inficia il nostro territorio, creando tensioni sia nelle famiglie che nel tessuto sociale, come la disoccupazione, specialmente quella giovanile, che costringe molti giovani ad emigrare, privando la nostra terra garganica di risorse fresche, creative e innovative. Piaga che mina il tessuto sociale, da un lato imbrigliando le tante potenzialità ivi presenti, dall’altro creando conflitti ad ogni livello, i quali molto spesso sono o taciuti o camuffati, o peggio ancora falsamente rimossi: tale piaga finisce per logorare i legami sia familiari che sociali. La disoccupazione, frenando i sogni delle future generazioni, ruba loro la speranza, costringendo i giovani a vivere un presente senza prospettive e senza alcuna forma di realizzazione e di inserimento nel mondo degli adulti: si sta “rubando” il futuro alle nuove generazioni.

Se molti nostri giovani fuggono altrove, nelle nostre città vediamo arrivare e crescere il numero dei migranti, alcuni con regolare permesso di soggiorno, altri no. Li ritroviamo, nella condizione per loro più nobile e dignitosa, il che è tutto dire, al di fuori dei supermercati per accompagnarci a portare verso la nostra auto il carrello della spesa, in cambio di pochi centesimi. A San Giovanni Rotondo ce ne sono diversi, Richard, della Costa d’Avorio, Jacob, del Ghana. Quest’ultimo, vive a Foggia, ma “lavora” a San Giovanni Rotondo, è musulmano, ma accetta i calendari di Padre Pio e, mi è stato raccontato, un giorno ha chiesto in dono tre crocifissi, da regalare agli amici. Chissà, forse è proprio vero che la Croce di Cristo è punto di continua attrazione per tutti i popoli. Facciamoli almeno sentire portatori di dignità, scambiamo con loro qualche parola, come ci ha anche suggerito Papa Francesco. Altri chiedono l’elemosina, non riescono a trovare un lavoro. La maggior parte hanno attraversato la Libia. Tutti raccontano di una Libia che un tempo era ricca e piena di lavoro per tutti. Poi, dopo i noti fatti di politica internazionale, la nazione si è sgretolata e intere famiglie si sono trovate senza lavoro. Joseph, un giovane trentenne della Nigeria, faceva il saldatore, ha moglie e un figlio e vive a Manfredonia. Peter anche lui nigeriano faceva il meccanico, qui chiede l’elemosina. Vive a Lucera, sua moglie e i suoi figli vivono in Nigeria. Lui sogna di poter andare in Germania e poter portare là i suoi cari. Chissà se un giorno potremo fare qualcosa di concreto per loro.

Tutto ciò ci interroga seriamente. Il fenomeno come interpella la politica locale e le forze economiche operanti nei vari settori, interroga anche noi come comunità di credenti: a tutti deve stare a cuore la sorte di questa nostra terra. Stiamo vivendo oggi un processo storico difficilmente sintetizzabile, per cui proviamo a chiederci seriamente tre cose:

  • in primo luogo, quali sono le cause, per capire dove si è sbagliato e per evitare di continuare a farlo. Per cercare di non cadere sempre e di nuovo negli errori del passato, per cominciare a ripensare molte situazioni e molte scelte, individuando strade nuove per uno sviluppo che rispetti la vocazione di questa nostra terra, nella promozione delle sue risorse e per il bene di tutta la comunità;

 

  • in secondo luogo, cercare di capire le responsabilità che hanno prodotto tale situazione ormai diventata insostenibile; non per puntare inutilmente il dito o per accusare qualcuno, ma per rimettersi tutti in gioco e non restare al riparo di false sicurezze create solo per pochi;
  • in terzo luogo, cercare di capire come uscirne, cioè come dare impulso alla nostra economia locale. Come, mettendo insieme tutte le forse in campo, avviare processi economici virtuosi che mettano al primo posto non tanto la ricchezza e il capitale di chi già ne dispone, ma il lavoro quale attività non solo di sostentamento economico, ma anche di piena umanizzazione e realizzazione della vocazione personale di ciascuno.

Certo non tocca alla Chiesa dare ricette o fare analisi, né sostituirsi alla politica, alla classe imprenditoriale o agli operatori economici, ma è compito di tutti, quindi anche dei credenti, vigilare a che l’economia sia al servizio della comunità sociale, delle famiglie e non del profitto di pochi.

Vigilare che non ci siano fenomeni di corruzione o di infiltrazioni mafiose sia nei settori produttivi che nelle istituzioni politiche. Fedele alla Dottrina sociale della Chiesa è mio dovere di vescovo ricordare innanzitutto a chi crede, ma anche a chi intende collaborare al bene comune, che l’economia è la scienza a cui compete la ricerca e distribuzione dei mezzi e che come tale deve necessariamente interfacciarsi con l’etica che è la scienza dei fini. Pertanto è la seconda (= l’etica) che deve guidare e dettare l’agenda delle priorità ed urgenze non la prima (= l’economia) che ha funzione di strumento.

Girando per il variegato territorio diocesano ho potuto raccogliere molte lamentele da parte di giovani e di famiglie intere relative a situazioni lavorative poco chiare che rasentano anche i confini della illegalità.

Molto diffuso è il fenomeno del lavoro nero, come mi sembra anche il fenomeno del “caporalato”. Lo ribadisco ancora una volta: chi non dà il giusto salario all’operaio o a qualsiasi lavoratore alle proprie dipendenze si fa complice di un deprecabile atto immorale e commette peccato mortale che è anche un “grave peccato sociale”.

Un imprenditore – peggio se cristiano – non può sfruttare il lavoro degli operai sottopagandoli, approfittando della elevata domanda di lavoro e della poca offerta che il territorio purtroppo offre. Così come non è affatto giusto che si utilizzino le leggi vigenti per giocare al ribasso sulla pelle dei neoassunti, come quando ad esempio si assume un giovane con contratto a tempo determinato, con la motivazione di tenerlo per un periodo in prova, lo si paga con i soldi che si ricevono dallo Stato, e poi, arrivato il momento di offrirgli un contratto a tempo indeterminato, lo si licenzia, rimpiazzandolo con un altro giovane che, come lui, è affamato di lavoro e che pur di lavorare è disposto anch’egli a vivere precariamente pur di provvedere al proprio sostentamento.

Grazie ad un accordo con la Regione Puglia e la Conferenza Episcopale Pugliese attraverso il Progetto Policoro anche la nostra Arcidiocesi è entrata a far parte di una rete di Enti di Formazione che hanno seguito e seguono diversi giovani aiutandoli ad inserirsi in aziende come tirocinanti sostenuti dall’aiuto di fondi pubblici. La prima finalità deve essere quella di sviluppare la “cultura del lavoro”, promuovendone la dignità che dev’essere rispettata, tanto da parte degli imprenditori, che da parte dei giovani attraverso serietà e responsabilità nelle mansioni e competenze che vanno maturando. Sono stato informato che, attraverso questo impegno, sono stati attivati ben 78 tirocini di cui circa il 25% si sono tramutati in contratto a tempo indeterminato. Plaudo a tale iniziativa, che va continuata e portata avanti con entusiasmo, competenza e sentendola veramente parte di quella che chiamo Vangelo del lavoro e diaconia del lavoro.

Esistono ancora casi in cui il lavoro viene usato come ricatto per politiche clientelari, come bacino a cui attingere consensi elettorali per scalare il potere, promettendo posti inesistenti se non per quei pochi a cui si è legati per amicizia o peggio per parentela. Tutto questo è contro il Vangelo e grida al cospetto di Dio: questo non corrisponde alla diaconia del lavoro, ma a furto e mistificazione del lavoro!

Anche se capisco le difficoltà di molte imprese locali nel riuscire a mantenere una certa competitività in un mercato diventato sempre più globale, va affermato che non è eticamente giusto far pagare ai soli lavoratori gli esiti nefasti di tali difficoltà. Non bisogna mai dimenticare che, come ha affermato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate, le imprese hanno sempre una “responsabilità sociale”: «… la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento» (n. 40).

Per tale ragione, nei prossimi mesi mi piacerebbe incontrare gli imprenditori e gli operatori del commercio, artigianato e turismo, come pure i professionisti dei vari settori, per farmi spiegare le difficoltà che provano e le numerose peripezie che devono affrontare per mantenere in vita le proprie attività. Vorrei incontrarli anche per stimolarli a non farsi sedurre da una mentalità puramente speculativa o finanziaria legata alla ricerca spasmodica del proprio profitto. Urge sempre più adottare un codice etico, ispirato ai valori del Vangelo e della Costituzione italiana, che impone il rispetto della dignità del lavoratore, della giustizia, della equità, della solidarietà e del bene comune. Credo si possano stabilire incontri autentici di ascolto, di condivisione delle difficoltà, dei timori, degli smarrimenti, come pure di progettazione e visione di futuro, tra il mondo dell’impresa, dei sindacati e la Chiesa locale. Entrare in sinergia al fine di far conoscere come la Dottrina Sociale possa essere base per un fermento concreto di sviluppo economico del nostro territorio partendo dal vissuto concreto.

Stando a una bella definizione dell’enciclica di S. Giovanni Paolo II Laborem Exercens, «Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature … porta su di sé un segno particolare dell’uomo e dell’umanità … questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la sua stessa natura» (Premessa). Per tale ragione il lavoro non deve essere motivo per ricattare, ma una risorsa per valorizzare. Non è un privilegio per pochi, ma un diritto da garantire a tutti: per l’etica sociale cristiana, come per il primo articolo della Costituzione italiana, il lavoro è la vera ricchezza che a sua volta produce altra ricchezza e altro lavoro[9]!

So che da anni la nostra diocesi organizza dei corsi di formazione sui contenuti della Dottrina sociale della Chiesa, come propone ai giovani l’esperienza di conoscenza diretta dell’emarginazione e migrazione attraverso la partecipazione al campo estivo Io ci sto. La questione, almeno per quanto riguarda la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, è verificare chi raggiunge tale formazione e come far sì che essa coinvolga un numero sempre maggiore dei protagonisti del settore imprenditoriale e lavorativo. Inoltre sarebbe opportuno attingere a quella grande stagione profetica del Novecento cattolico italiano, che ha visto la provvidenziale presenza di figure come Luigi Sturzo, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Aldo Moro, tutti personaggi che andrebbero fatti conoscere alle nuove generazioni. La sfida è educare i nostri giovani ad una mentalità imprenditoriale e gli operatori del settore a maturare un progetto di impresa intesa come ricchezza non solo per i proprietari, ma per l’intero contesto territoriale e la società civile.

Definirei quanto ho espresso sopra come educazione alla diaconia del lavoro. In questo modo riusciremo a superare le spinte idolatriche e fuggire da logiche opportuniste. Il lavoro non può risolversi in opportunismo o in idolatria: si trasformerebbe in un idolo pagano e favorirebbe solo la mafia. Dobbiamo ascoltare bene la Parola di Dio che ci presenta il Vangelo del lavoro[10] per non essere simili al seme caduto sul sentiero, sulle pietre o anche tra i rovi, ma sul terreno dissodato e fertile. Sono certo che anche in Gargano e Daunia abbiamo a disposizione tanti ricchi terreni, fecondi e produttivi, a noi accogliere la sfida di dissodarli e seminarli. Davvero ci attende un bel futuro se lo vogliamo abbracciare con speranza: impegniamoci tutti nella diaconia del lavoro!

 

  1. Educazione alla legalità

L’educazione alla legalità credo costituisca un punto focale per il nostro territorio e società tanto civile che ecclesiale del Gargano. Il crescere esponenziale di azioni violente, fino agli omicidi ed alla sparizione di persone (= lupara bianca), passando per gesti intimidatori e di chiaro stampo mafioso, non ci possono lasciare silenti.

Diventa inutile lamentarsi per la carenza di lavoro, la fuga dei giovani in altre regioni italiane ed europee … al di fuori di un recupero della legalità, infatti, non c’è spazio per lo studio serio ed il lavoro onesto che produce a sua volta ricerca e lavoro. Educare alla legalità significa innanzitutto prendere coscienza della realtà per quello che è, senza nascondersi dietro false etichette, paure, morosità e sterili lamentele, cercando di innescare processi positivi nelle scuole, nelle associazioni, nei gruppi di riferimento a cui si aderisce, nelle parrocchie e nella società civile. Ricordava il beato Padre Pino Puglisi, sacerdote ucciso dalla mafia: “Credo a tutte le forme di studio, di approfondimento e di protesta contro la mafia. La mafiosità si nutre di una cultura, e la diffonde: la cultura dell’illegalità. La cultura sottesa alla mafia è la svendita del valore della dignità umana. E i discorsi, la diffusione di una cultura diversa, sono di grande importanza. Ma dobbiamo stare molto attenti che non ci si fermi alle proteste, ai cortei, alle denunce. Se ci si ferma a questo, sono soltanto parole. Le parole vanno convalidate dai fatti”[11].

Non dobbiamo pensare solo ai fenomeni eclatanti perché la cultura dell’illegalità procede infatti a piccoli passi, nasce da episodi che possono sembrare contingenti. Per fare un esempio concreto, guardando ai nostri giovani. Quale cultura della legalità perseguono coloro che affittano degli appartamenti ai giovani minorenni, con l’escamotage che a richiedere l’affitto sia un maggiorenne? Di fatto la casa verrà utilizzata da ragazzi poco più che adolescenti. La chiameranno il loro club, un luogo dove riunirsi, giocare alla play station, ma purtroppo fare anche dell’altro …!

Per l’uso squilibrato dei social sembra che oggi la parola umana non crei più relazione, diventa vuota e amorfa. L’educazione alla legalità deve invece poter attingere ad una virtuosa correlazione pedagogica tra silenzio, ascolto e parola. Il silenzio come luogo in cui si può non solo ascoltare, ma anche accogliere la parola e innescare processi di riflessione. È sempre più necessario che l’impresa educativa s’impegni ad offrire, a giovani e non, tutti quegli strumenti adatti per formare l’uomo interiore a livello della coscienza. Nella prospettiva della fede cristiana, come ricordava anche Giuseppe Dossetti, la riscoperta dell’uomo interiore è un momento propedeutico alla conversione verso l’uomo nuovo[12]. Da qui l’importanza di tornare ad educare alle virtù, anche attraverso un uso prudente e moderato degli stessi social, come suggerisce Pier Cesare Rivoltella[13]: non possiamo pensare che possa diffondersi una cultura della legalità, se non torniamo ad educare i giovani alla ricerca della sapienza. Formarli cioè al discernimento e a saper giudicare e vagliare ciò che è sapienza da ciò che è stoltezza. Arte che non s’improvvisa, ma richiede una costante applicazione nell’ascolto della Parola di Dio, quella che Gesù stesso offre con tanto amore alle folle che lo ricercano. Oggi invece, quasi come un meccanismo di difesa, si prova a colmare il vuoto di senso con il tentativo affannoso di accumulare ricchezze o emozioni: ma tutto ciò è solo una suggestione. Purtroppo registriamo che sono in aumento, anche nei territori della nostra diocesi, le dipendenze da slot machine: sono molti i luoghi che le mettono a disposizione con estrema facilità.

Non perdiamo tuttavia la speranza. È azione profetica quella di denunciare ciò che non va, demolire, infrangere le strutture di peccato, ma per lasciare che sia il Signore ad edificare e costruire. Come Chiesa, in una prospettiva educativa, non temiamo di riscoprire e proporre la decisività del ruolo testimoniale: pensiamo al monito di Papa Paolo VI, “il mondo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri è perché sono testimoni”[14]. Ultimamente anche l’analisi psicanalitica, penso a Massimo Recalcati[15], si muove nella stessa linea. Il fallimento del modello educativo basato sul “padre padrone”, che decideva tutto per tutti, è da annoverare all’assenza di una vera relazione educativa. L’evaporazione di un certo modello di padre può diventare una chance per riscoprire la figura di un padre che sa essere anche maestro e testimone.

Non perdiamo tuttavia la speranza. Sono nate e si stanno sviluppando nel territorio della nostra Arcidiocesi iniziative che fanno prendere coscienza del bisogno di legalità e la promuovono: ci si rende conto che solo da questa può partire un nuovo e sano spirito di società civile. Alcune di queste iniziative ho avuto modo di avvicinarle e conoscerle in questi miei primi mesi di vescovo. Come esempio tra le tante vorrei sottolineare quanto è nato a Mattinata all’indomani dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale. Un manipolo di cittadini si è ritrovato a riflettere sull’accaduto e sul come si potesse ovviare ad una dinamica in atto così ingombrante, si è deciso di inaugurare un percorso comune, plurale e aggregativo per provare a “pacificare” una comunità ferita e disorientata. Collaborando insieme tra Parrocchia SS. Maria della Luce, l’Azione Cattolica Diocesana, il coordinamento provinciale di LIBERA contro le mafie, il Fondo Antiracket Italiano, la CCIAA di Foggia, la Confcommercio provinciale e altre realtà associative locali, si sono organizzati e proposti eventi per discutere a “cuore aperto” di tematiche forti che necessitano di continua presa di coscienza e approfondimento. Sono nati i progetti: PacificAzione (azione pacifica e corale articolata su due temi fondativi e fondamentali: la legalità e l’integrazione sociale) e FABLES (Formazione Adulti e Bambini sulla Legalità e l’Educazione Sociale) che hanno coinvolto tanto gli Istituti scolastici che buona parte della popolazione civile. Personalmente ho potuto verificare l’importanza della marcia per la legalità tenutasi il 18 maggio scorso con la compartecipazione dei sindaci delle comunità limitrofe e di diverse autorità provinciali e regionali.  Non perdiamo allora la speranza: nel nostro territorio ci sono presenze e forze positive in grado di cambiare in meglio e dare futuro sicuro al nostro territorio ed a chi lo abita.

Concludo questo paragrafo sull’educazione alla legalità con un invito a guardare con speranza e cuore puro alla politica ed alla Chiesa. Non è vero che la politica è marcia e la Chiesa è falsa … è vero piuttosto che marci sono gli uomini che usano la politica per il proprio tornaconto, e false sono le persone di Chiesa che se ne servono per sé stessi e non per il Vangelo ed il servizio del prossimo.

Educarsi ed educare alla legalità è collaborare perché la società sia sempre più “civile” e la Chiesa più conforme al Vangelo, perché la politica torni ad essere servizio del bene comune e la Chiesa Madre di cuori che generano relazioni d’amore.

 

“Per amore del nostro popolo” (cf Is 62,1)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della verità e della giustizia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra fragilità, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Dio ci custodisce anche nella valle oscura della vita e non permette che il buio del cuore spadroneggi nel nostro territorio.

Come Pastori delle Chiese che sono in Provincia di Foggia, dinanzi ai recenti avvenimenti criminosi, facciamo nostre le parole del Profeta Isaia: “Per amore del nostro popolo non possiamo tacere!” (cf Is 62,1). Gli episodi gravi e inquietanti a cui assistiamo (omicidi, tentati omicidi, sparatorie, atti intimidatori ed estorsioni, furti e riciclaggio di denaro proveniente da spaccio e ogni tipo di malaffare) rendono l’intero nostro territorio ad alta esposizione mafiosa e impongono di convertirci ad un modo di vivere più trasparente, caratterizzato da onestà, rettitudine e legalità, promuovendo una società più giusta e fraterna.

Tra noi, la “cultura della minaccia” corrisponde all’agire della mafia e della criminalità organizzata in genere; mentre la “paura” è la risposta omertosa e malata della società civile, che pensando di difendersi, si dà per sconfitta difronte al male. In questo modo, giorno dopo giorno, assistiamo all’impoverimento del nostro territorio, sempre più caratterizzato da meno servizi, meno infrastrutture, meno lavoro e meno prospettive per tutti. Questa situazione causa una “desertificazione strisciante”, ossia la fuga dei giovani dal sud Italia.

Come risposta a tale situazione, la Chiesa si sente impegnata a risvegliare le coscienze, educare al senso civico, formare persone che abbiano il coraggio di assumere la responsabilità di essere onesti cittadini, promuovere la missione della politica e costruire modelli sani di imprenditorialità.

Riteniamo importante, perciò, affermare e testimoniare anche in contesti ardui e problematici come il nostro, che è possibile costruire un futuro diverso che semina e raccoglie frutti di legalità, sconfiggendo le “strutture di peccato” e innescando alleanze positive per riedificare nella giustizia la casa comune della nostra Terra di Capitanata.

Fratelli e sorelle, coraggio!

Non ci manchi il coraggio di fare un serio esame di coscienza, di denunciare, reagire e agire. Chiediamoci, fin dal giorno in cui riceveremo sul nostro capo l’austero simbolo delle ceneri che inaugura il tempo di Quaresima: “La mia vita cammina nella giustizia e nella legalità? Cosa faccio per il bene e per il cambiamento di questa situazione?” Impegniamoci quindi ad abbandonare il desiderio di dominare gli altri e impariamo a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli, che testimoniano quella cultura dell’incontro così da non ignorare i deboli, scartare i più fragili e gli ultimi, idolatrare il denaro. Fissiamo le nostre città con lo sguardo di Dio, presente già a Foggia, Cerignola, Lucera, Manfredonia, San Severo, come nell’intera Capitanata.

Il Signore ci darà il coraggio e sosterrà il nostro desiderio di conversione, la rivoluzione che più ci serve, quella della giustizia e della legalità. Ci faccia essere più attenti alla vita delle nostre città, con uno stile di partecipazione democratica che sappia parlare il linguaggio del “noi” e non frantumarsi in molteplici egoismi, che prendono il posto del diritto, rendendo quasi invisibile il confine tra legale e illegale.

Capitanata, non lasciarti rubare la speranza. Possiamo rialzarci solo se camminiamo insieme, ciascuno per la propria parte, evitando scontri o contrapposizioni, creando alleanze con tutti coloro che amano le buone pratiche e i comportamenti virtuosi. Saremo, così, Chiesa in uscita, la società che guarda al suo futuro, i cittadini che pensano a lasciare alle generazioni future una casa comune, solida e ricca di prospettive, in questo meraviglioso territorio.

Abbandoniamo l’egoismo, l’indifferenza, e rivolgiamoci alla Pasqua di Gesù, condividendo, particolarmente con i più poveri, i nostri beni spirituali e materiali.

Raccogliamo l’invito del Papa per questi santi giorni: «Quanto più ci lasceremo
coinvolgere dalla sua Parola, tanto più riusciremo a sperimentare la sua misericordia
gratuita per noi. Non lasciamo perciò passare invano questo tempo di grazia, nella
presuntuosa illusione di essere noi i padroni dei tempi e dei modi della nostra
conversione a Lui».

Signore Gesù, accompagnaci e non lasciare che il tuo amore arrivi invano nel nostro vissuto quotidiano. Ognuno di questi giorni sia una tappa nel cammino di legalità.

 

26 febbraio 2020

Mercoledì delle Ceneri

 

Vincenzo Pelvi, Arcivescovo di Foggia-Bovino

Franco Moscone, Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo

Luigi Renna, Vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano

Giuseppe Giuliano, Vescovo di Lucera-Troia

Giovanni Checchinato, Vescovo di San Severo

 

 

 III PARTE

Ho rielaborato il testo della Supplica rivolta al Signore al termine della Messa Crismale tenutasi a San Giovanni Rotondo nella Chiesa di San Pio il 29 maggio 2020. Pregare insieme, ed utilizzando anche le stesse parole, ci sarà di aiuto a realizzare i sogni necessari per la nostra Chiesa e territorio, e ad educarci secondo il Vangelo.

 

PREGHIERA di SUPPLICA

 

Dolcissimo Gesù Crocifisso e Risorto,

al termine della santa messa crismale – segno eminente dell’unità della nostra Chiesa locale – dal luogo che conserva le sacre reliquie di San Pio da Pietrelcina abbiamo invocato lui e gli altri Santi protettori dell’Arcidiocesi, San Michele Arcangelo, San Lorenzo Maiorano e San Giorgio Martire, perché ci siano mediatori della tua grazia. Rinnoviamo tale supplica perché i sogni, fecondati dal Vangelo, presenti nel cuore della nostra Chiesa che abita l’Amato Gargano, diventino frutti maturi a beneficio del Popolo santo di Dio e dell’intero territorio.

Ti affidiamo e supplichiamo per la Santa Chiesa che è in Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, perché interpreti “sine glossa” il Vangelo delle Beatitudini che costituiscono “la carta d’identità del Cristiano ed il protocollo sul quale sarà giudicata” (cf Gaudete et Exultate nn. 63. 95), ed in fedeltà alla tua Parola annunci ed attrai a Te impegnandosi nella costruzione del Regno di Dio e nella realizzazione di una società civile più giusta e solidale.

Innanzitutto, o Dolcissimo Gesù, ti vogliamo affidare e pregare in modo particolare:

  • per i sacerdoti che svolgo con entusiasmo e coraggio il loro servizio pastorale, perché siano pastori secondo il Tuo cuore mite e umile (Mt 11, 29);
  • per i sacerdoti che a motivo dell’età avanzata o per salute hanno difficoltà e sono impossibilitati a partecipare alle attività comunitarie dell’arcidiocesi: li sentiamo “prossimi” e “pienamente attivi” nel ministero presbiterale;
  • per tutti sacerdoti diocesani e religiosi defunti che con carità pastorale hanno servito e dato la vita per la Chiesa di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo;
  • per i quattro fratelli ordinati Diaconi (Angelo, Danilo, Giovanni e Nicola) e che si stanno preparando all’ordinazione presbiterale, per i seminaristi diocesani e i candidati e candidate alla vita consacrata della nostra Arcidiocesi: concedi a loro forza e perseveranza e continua a benedire tutta la Chiesa di giovani e sante vocazioni;
  • per i religiosi e le religiose, perché attingendo dalla ricchezza dei propri carismi testimonino la profezia di una grande storia non solo da raccontare, ma una ancora più grande da costruire;
  • per tutti i battezzati, unti come laici nel Popolo santo di Dio, perché portino in mezzo alla società ed attraverso il lavoro e le professioni la bellezza della vita secondo il Vangelo.

 

Inoltre, o Dolcissimo Gesù, vogliamo esprimere la nostra gratitudine per:

  • per l’operato della Caritas e delle tante associazioni ed aggregazioni cristiane e laiche che, in questo tempo di pandemia, hanno collaborato, e continuano a collaborare, per alleviare le sofferenze e sopperire alle necessità delle fasce più povere ed a rischio della nostra popolazione;
  • per l’impegno eroico del mondo sanitario che ha lavorato e lavora con orari e turni intensissimi per debellare il male sconosciuto e giunto improvviso: rappresentano nuovi testimoni di carità operosa.

 

Ancora, o Dolcissimo Gesù, la nostra preghiera vuol essere supplica per:

  • per i responsabili della vita civile, governanti ed amministratori: chiamati ad essere leaders in tempi calamitosi, obbligati ad assumere decisioni che appaiono amare e impopolari;
  • per le forze dell’ordine che sopperiscono e aiutano a mantenere sicura la vita sociale e civile in tempo di crisi e lottano contro l’illegalità, sempre presente;
  • per gli imprenditori e i lavoratori di tutte le categorie, che temono per la resistenza delle loro imprese e settori: l’insicurezza del momento non comprometta l’impegno, la creatività e la responsabilità per la ripresa possibile ed etica.

 

Infine, o Dolcissimo Gesù, libera la Chiesa e ogni discepolo da tutte le forme di gnosticismo e pelagianesimo, salvaci dall’autoreferenzialità che idolatra l’io dimenticando Dio e il Prossimo!

Rafforzati dalla preghiera non aspettiamo per vivere il Vangelo che tutto attorno a noi ed in noi sia favorevole, senza difetti, a posto, senza rischi; non pretendiamo di “stipulare polizze assicurative con Dio”, ma ci mettiamo in cammino così come siamo (peccatori e tentati), certi, o Dolcissimo Gesù, del Tuo sguardo e della Tua Grazia che ci abilita a vivere il Tuo comandamento dell’amore e ad esserti testimoni a Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.

Amen!

 

+ p. Franco Moscone crs

arcivescovo

 

Manfredonia, 30 agosto 2020, solennità della B.V.M. Regina di Siponto

[1] FRANCESCO, Messaggio alle POM, 21 maggio 2020

[2] F. MOSCONE, Il seminatore uscì a seminare. Educare è… generare nella Misericordia, Lettera pastorale – Linee pastorali 2019-2020

[3] F. MOSCONE, Il seminatore uscì a seminare. Educare è… generare nella misericordia, Lettera pastorale, pag. 26-28

[4]FRANCESCO, Chiesa missionaria, testimone di misericordia, Messaggio per la giornata missionaria mondiale del 2016.

[5] Nel discorso del Papa “Lui” è lo Spirito Santo: il vero autore e protagonista della missione della Chiesa.

[6]FRANCESCO, Messaggio per la 53esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, 2019.

[7] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, “Maschio e femmina li creò”. Per una via di dialogo sulla questione del Gender nell’educazione, 2019.

[8] Cf. L’azione promossa dal Movimento dei Focolari attraverso lo sviluppo dell’Economia di comunione.

[9] “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nella forma e nei limiti della Costituzione” (art. 1).

[10] GIOVANNI PAOLO II, Laborem exercens, 1981.

[11] Giuseppe Bellia (ed.), 100 pagine/di don Puglisi. Il coraggio della speranza, Città Nuova, Roma 2005, 74.

[12] Suggerimento offerto nel noto discorso intitolato “La sentinella”, tenuto il 18 maggio del 1994 in ricordo dell’amico Giuseppe Lazzati. Testo pubblicato su Humanitas per i tipi della Morcelliana, ma presente anche in diverse opere collettive che ripropongono gli scritti di Dossetti.

[13] P. C. Rivoltella, Le virtù del digitale. Per un’etica dei media, Morcelliana, Brescia 2015. L’autore è stato invitato a tenere una relazione dal titolo “Chiesa e comunicazione” all’Assemblea Generale della CEI del 21 maggio del 2018.

[14] Discorso di Paolo VI al Pontificio Consiglio per i Laici 02 ottobre 1974 e Evangelii nuntiandi, 1975, 41.

[15] M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Cortina Raffaello, Milano 2017.