Sinodo

“Come una cascata…” la missionarietà della soglia nel cammino sinodale.

Ci hanno messo alla porta per accogliere e condividere

Si è svolto a Rodi Garganico, nell’ultimo weekend di ottobre, il “Corso Formativo Sinodale” a cui ha partecipato l’intera equipe sinodale designata a guidare un cammino senza confini e senza perdere rotta ed entusiasmo.

Una due giorni caratterizzata da momenti di ascolto, riflessione, condivisione e convivialità nella gioia dell’essere cristiani e soprattutto insieme, come vuole il cammino sinodale, ma anche in itinere, perché non ci si ferma lì.

Ora infatti, come una cascata, immagine utilizzata da padre Franco Moscone, presente al corso con un approfondimento teologico-pastorale, “serve far arrivare quell’acqua sgorgata dall’alto, sempre più vivace e salutare, anche ai fratelli e alle sorelle delle vicarie nell’affrontare le varie sfide”.

Ricordano tutti quelle “provocazioni” lanciate dal Pastore e ri-citate anche come “promemoria” nella Nota Pastorale (Chiesa che abiti il Gargano ASCOLTA) consegnata alla comunità a settembre.

Si è dunque in cammino e non ci si può fermare, né non vincerle quelle sfide, ognuno nella propria realtà senza recinto, ascoltando e riflettendo.

Tutto questo servirà a dire la Chiesa e soprattutto a fare la Chiesa, sempre più giovane e al passo coi tempi.

Degna di menzione la presenza e la testimonianza di Emilio, al Corso Formativo. Un giovane avvocato cresciuto in oratorio, punto di incontro e porto sicuro, ma nostalgico di quei tempi. Seppur la vita lo ha allontanato dalla Chiesa (per gli ascoltatori, allontanato forse solo fisicamente) ha saputo trasmettere emozioni forti mettendo in crisi i partecipanti al weekend. Tutte le competenze acquisite in quel periodo, oggi le mette a disposizione di tutti soprattutto dei giovani e fuori da quel recinto.

Ma allora perché sentirsi fuori?

La sua visione di Chiesa ha portato alla luce questa e altre domande “Come è vista la Chiesa dall’esterno? Che idea di Chiesa hanno coloro che non frequentano?”. Emilio, tra commozione e passione, ha mostrato il suo disagio ma soprattutto la sua sofferenza che si è rivelata, senza ritardi, una provocazione per tutti.

Tutto ciò ha infatti portato l’equipe sinodale ad interrogarsi. Occorre rimettersi in gioco. Nessuno deve sentirsi fuori e con la difficoltà ad entrarvi. Aprire le porte non basta, soprattutto se si pensa alla definizione che padre Franco dà della porta: “elemento di un edificio, nell’icona della Chiesa come Abitazione” e lo sottolinea così, in tre punti:

  • “La porta è, allo stesso tempo, l’elemento più importante, senza di esso l’edificio è inaccessibile ed inutilizzabile, e più debole perché non sorregge nulla e deve essere custodita. Allora “dare accesso alla Chiesa” significa curare e custodire le debolezze, non averne paura. Partire dal debole e non dal forte.
  • La porta è mobile per garantire due funzioni: entrare ed uscire. E’ luogo di passaggio/transito, non posto dove sostare/fermarsi! La porta va lasciata sempre libera! Allora, dare accesso alla Chiesa significa curare gli spazi e i luoghi di libertà. Partire dall’anelito di libertà prima che dalla logica e dalla funzione della legge (il Vangelo precede il diritto; la legge ha solo valore “pedagogico” non di contenuto salvifico …).
  • La porta non è solo un elemento dell’edificio Chiesa, ma anche indicazione/distinzione di spazi: la porta è posta sulla soglia e indica un confine. La soglia è il vero confine della Chiesa, lo spazio sacro/santo da allargare ed estendere. Si tratta della missionarietà della soglia da portare ai confini del mondo!”

Ecco che…”tutto torna”, diceva qualcuno e, come ha detto all’equipe il referente diocesano del Cammino Sinodale, don Salvatore Miscio: “occorre lavorare sulla consapevolezza dell’essere Chiesa, alla luce del Vangelo e della vita da vivere”.

Ebbene, risulta chiaro e auspicabile che tutti, nelle vicarie, diventino operai e imparino a “stare in strada e nelle piazze, riscoprendole come i luoghi della testimonianza e dell’attrazione (cfr. il primo cantiere di Betania: cantiere della strada e del villaggio), aumentando i punti di accesso alla vita comunitaria per sentirsi meno “parrocchia” e più Chiesa”.

“È questo l’obiettivo strategico del futuro, già “presente” nella nostra popolazione e nella “cultura”, specie delle nuove generazioni”, ha ribadito padre Franco all’incontro.

A lui va il grazie dell’equipe sinodale. Grazie, per aver creduto nel progetto partito a Santa Cesarea Terme, nel luglio scorso, per aver nutrito ancora una volta i presenti di bellezza e speranza e per aver dato la spinta giusta a proseguire su quella scia in tutta la Diocesi. Ora, a cascata e nelle vicarie, l’impegno alla missionarietà della soglia, pronti a vivere weekend sparsi ed affrontare insieme le varie sfide.

Annamaria Salvemini