Linee guida per la seconda fase “Sapienziale” del Cammino Sinodale

dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI

La seconda tappa del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, la fase sapienziale, comincia con una parola di gratitudine: al Signore, che ci sta guidando attraverso il suo Spirito; al Santo Padre, che ci accompagna con i suoi orientamenti; alle Chiese particolari nelle quali vive e opera l’intero popolo di Dio – laici, ministri, consacrati – che si è messo in ascolto della voce dello Spirito; a chi hanno assunto servizi di responsabilità: vescovi e presbiteri, i membri del Comitato nazionale, i 400 referenti diocesani con le relative équipe e tutte quelle persone – una moltitudine – che ogni giorno, nelle case, nei luoghi di lavoro e di studio, negli ambienti di cura e di incontro, nelle comunità cristiane e nella società, portano avanti la costruzione del regno di Dio nella vita di ogni giorno: “santi e sante della porta accanto”, che formano una rete preziosissima, una quotidianità ecclesiale ignorata dalle statistiche e dai media; sono discepoli e discepole che vivono il Cammino sinodale seguendo il Signore nella quotidianità. L’immagine della “casa di Betania”, icona del secondo anno narrativo, venne scelta per valorizzare questa dimensione domestica dell’esperienza cristiana, fatta di accoglienza, semplicità, attenzione reciproca. Rendiamo lode al Signore perché in Italia le “case di Betania” sono davvero molte.

Con gratitudine guardiamo al percorso compiuto, in cui abbiamo sperimentato la bel- lezza e la fatica di camminare insieme, condividendo i sogni e le difficoltà delle nostre comunità. Il pensiero riconoscente si estende a quanti nelle nostre Chiese si sono impegnati intensamente, negli ultimi decenni, nella ricezione del Concilio Vaticano II, all’insegna del primato dell’evangelizzazione. Non saremo mai abbastanza grati a tutti i Pastori, i laici, i religiosi e le religiose che ci hanno preceduto sulla via del rinnovamento ecclesiale. Non siamo all’anno zero: anzi, se ora possiamo percorrere il Cammino sinodale, è perché questo itinerario era già stato avviato e tracciato nelle Chiese che sono in Italia.

Ci prepariamo ora a compiere un altro tratto di strada, sempre insieme. Le Linee guida, che consegniamo alle nostre comunità, esprimono quel “grazie” che accompagna, incoraggia, fa ardere il cuore, diventa slancio per una conversione autentica. Proprio come è accaduto ai discepoli di Emmaus, il cui racconto biblico (Lc 24,13-35) ci aiuterà nel discernimento.

Il Cammino sinodale, avviato su indicazione di Papa Francesco nell’udienza all’Ufficio Catechistico Nazionale (30 gennaio 2021), è animato da quell’unico interrogativo di fondo che guida l’intero processo sinodale universale: «Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata? E quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?» (Documento Preparatorio, n. 2). Il Cammino italiano è strutturato in tre fasi: narrativa, sapienziale e profetica. Sono fasi che si intrecciano e si richiamano: i racconti hanno già offerto un primo discernimento e alcune intuizioni profetiche; nel discernimento incontriamo la ricchezza delle storie e l’esigenza di fare delle scelte; infine, nelle decisioni raccoglieremo il frutto delle esperienze narrate e del discernimento compiuto. Ciascuna fase, tuttavia, mette in primo piano una particolare dimensione: quella narrativa privilegia l’ascolto, quella sapienziale il discernimento e quella profetica il progetto. Il passaggio alla fase sapienziale fa tesoro di quanto emerso nei primi due anni e intende approfondirlo, in prospettiva spirituale e operativa. La “sapienza” biblica non è un ragionamento astratto, ma spinge alla conversione personale e comunitaria.

L’avvio del Cammino sinodale due anni fa, in un tempo ancora fortemente segnato dalla pandemia, ha attivato una creatività digitale capace di intercettare anche persone che “in presenza” non avrebbero probabilmente partecipato. Questo coinvolgimento, per quanto ridotto, ha permesso di ascoltare le grandi domande di senso che l’emergenza sanitaria, come ogni crisi acuta, è stata in grado di sollevare; ha permesso di raccogliere sofferenze e gioie, gesti di generosità e fatiche, tensioni e speranze. Già alla fine del primo anno è emersa unanime la richiesta di trasformare il metodo della “conversazione nello Spirito” in uno stile permanente, da assumere nelle riunioni degli operatori pastorali: organismi di partecipazione, catechisti, animatori della liturgia, ministri, volontari, educatori delle associazioni, etc.

I sogni condivisi nei 50.000 gruppi sinodali, che sono risuonati nei Cantieri di Betania, hanno confermato il desiderio di una Chiesa come “casa accogliente”, che punta sui rapporti più che sull’organizzazione, sui volti più che sui programmi, sulla relazione e sullo stile di Gesù più che sulle strategie e gli stili mondani. I Cantieri, ancora in corso – che hanno già registrato più di un migliaio di esperienze diocesane – stanno evidenziando la bellezza di una Chiesa che si apre, dialoga, si confronta e cerca di «rispondere a chiunque domandi ragione della speranza» (cf. 1Pt 3,15). Anche questo metodo laboratoriale si prospetta come uno stile permanente, capace di intrecciare l’annuncio del Vangelo con i diversi percorsi umani, nei vasti mondi della società, della cultura, della politica, delle religioni.

I lavori sinodali si intrecciano con i problemi e i drammi di ciascuno, che sono i problemi e i drammi del mondo: gli strascichi sanitari, economici e sociali della pandemia, il clima di guerra tragicamente ravvivatosi, le crisi ambientali, occupazionali, esistenziali. Un senso di precarietà e di smarrimento avvolge molte persone e famiglie nel nostro Paese. L’impegno dell’ascolto sinodale, da parte dei cristiani, non può venire meno in questa nuova fase del Cammino: anche per questo è importante che la conversazione nello Spirito e i Cantieri diventino stili permanenti delle nostre comunità, attivando quella creatività che i discepoli del Signore hanno sempre dimostrato nella storia.

Continuiamo dunque a rivolgere lo sguardo verso l’orizzonte dell’annuncio di Cristo e a percorrere i sentieri dell’affidamento allo Spirito. Queste Linee guida, facendo tesoro del biennio narrativo, gettano un ponte verso la fase profetica, incamminando le Chiese in Italia verso un discernimento operativo che prepari il terreno alle decisioni, necessaria- mente orientate a un rinnovamento ecclesiale e mai introverse; anche quando l’attenzione è puntata sulla vita interna delle nostre comunità, il pensiero è sempre quello estro- verso della missione: rendere più agili alcune dinamiche ecclesiali (dottrinali, pastorali, giuridiche, amministrative) per rendere più efficace l’incontro tra il Vangelo, energia vivificante e perenne, e l’umanità di oggi (cf. San Giovanni XXIII, Humanae Salutis, n. 3).

«Proseguiamo insieme questo percorso, con grande fiducia nell’opera che lo Spirito Santo va realizzando. È Lui il protagonista del processo sinodale, Lui, non noi! È Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa» (Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro nazionale dei referenti diocesani del Cammino sinodale italiano, 25 maggio 2023).

Roma, 11 luglio 2023

Festa di San Benedetto Abate

Il Consiglio Episcopale Permanente

 

«Mentre conversavano e discute1vano insieme» (Lc 24,15)
Il racconto di Emmaus: icona per il discernimento ecclesiale

Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si av- vicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Lc 24,13-35)

C’è un’intima relazione tra Celebrazione eucaristica e Cammino sinodale: l’abbiamo vissuta durante il Congresso Eucaristico di Matera (22-25 settembre 2022). Non è solo un’analogia a unire i due momenti – Eucaristia e Sinodo si “celebrano” – ma una co-implicazione tale che si potrebbe definire l’assemblea eucaristica un “Sinodo concentrato” e il Cammino sinodale una “Eucaristia dilatata”. Questa intima relazione orienta nella comprensione delle categorie sinodali: non si tratta tanto di “democrazia” quanto di “partecipazione”, non solo di un raduno di “gruppo” quanto di un’“assemblea” convocata, non di esprimere semplici “ruoli e funzioni” ma “doni e carismi”. Nel Cammino sinodale, come nella Celebrazione eucaristica, il popolo radunato vive l’esperienza della grazia che viene dall’Alto, in quella partecipazione definita “actuosa” da Concilio Vaticano II (cf. Sacrosan- ctum Concilium, n. 14), quindi capace di coinvolgere nella Celebrazione comunitaria.

Ecco perché proponiamo in questa fase il racconto di Emmaus: è lì infatti, in quell’incontro della sera di Pasqua, il senso di questa seconda tappa del Cammino; da quell’incontro deduciamo i criteri fondamentali per il “discernimento operativo” della fase sapienziale. Luca rilegge, in questa pagina, la fede pasquale alla luce dell’esperienza eucaristica, ormai cinquantennale quando lui scrive il Vangelo; e, viceversa, rilegge l’esperienza eucaristica alla luce della fede pasquale.

Lasciarsi interrogare dal Signore

Emmaus è una sorta di Celebrazione eucaristica itinerante, che aiuta a comprendere le dinamiche del camminare insieme: dall’isolamento alla comunione, fino alla scoperta della verità di sé. Siamo noi quei discepoli – uno dei quali è appositamente anonimo perché ciascuno si metta al suo posto – e siamo in cammino. Siamo l’assemblea raduna- ta dalle nostre case; un’assemblea di battezzati che confessano prima di tutto i propri peccati, le proprie delusioni, le proprie fughe da Gerusalemme, le proprie nostalgie per la vita di prima: «Noi speravamo…» (Lc 24,21).

Il Signore ci lascia sfogare, anzi provoca il nostro sfogo – «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?» (Lc 24,17) – perché non ha paura dei nostri lamenti. Il Signore invita ancora oggi a parlare liberamente, a narrare fatiche e speranze; prende sul serio le delusioni, i mormorii, le sofferenze, le critiche, senza ribattere colpo su colpo, ma cercando di capire “cosa c’è dentro”. Sullo stile di Gesù, l’ascolto della realtà e delle esperienze è anche per noi discepoli il primo passo per un discerni- mento autentico. Hanno fatto così gli Apostoli quando hanno preso sul serio la segnalazione di un disagio nella comunità di Gerusalemme, decidendo poi di istituire i Sette per il servizio alle mense delle vedove dei cristiani ellenisti (cf. At 6,1-7). Quello che la Tra- dizione ecclesiale chiamerà “senso di fede del credente” (sensus fidei fidelis) trova la sua prima forma espressiva non tanto nei ragionamenti quanto nel racconto delle esperienze, comprese quelle problematiche e negative. Il biennio narrativo ha permesso di raccoglierne tante, che vanno ora ascoltate in profondità, con un atteggiamento sapienziale.

Il criterio fondamentale per il discernimento

Il Signore si affianca: senza imporre ai discepoli il proprio passo, senza chiedere loro di tornare sulla retta via, di fare retromarcia e prendere la direzione giusta, Gerusalemme.

No, piuttosto avvia il dialogo, si innesta nelle loro delusioni e nel loro lamento e annuncia tutto ciò che lo riguarda nelle Scritture. La liturgia della Parola, alla cui strutturazione ha contribuito anche questa pagina del Vangelo, offre il paradigma principale per il discernimento, che deve avvenire nell’ascolto comunitario delle Scritture, attraverso la chiave di lettura cristologica: la Parola di Dio è illuminata dalla Pasqua, dal kerygma di morte, sepoltura, risurrezione, vita nuova.

I discepoli sono apostrofati dal Signore come «stolti e lenti di cuore!» (Lc 24,25) non perché Gesù si lanci in un rimprovero, ma perché legge nel profondo del loro cuore. La severa parola di Gesù diventa così una rivelazione: non una condanna, ma un giudizio che fa luce. I discepoli di ogni epoca sono “stolti e lenti di cuore” quando adottano criteri di lettura della realtà che prescindono da Lui, parametri mondani e ragionamenti umani che portano allo scetticismo e alla freddezza.

Gradualmente il loro cuore torna ad “ardere”, perché la Parola di Gesù riattiva nei due discepoli la familiarità con Lui. Avevano trascorso con il Signore un segmento importante della loro vita, avevano meditato sulle sue parole e sui suoi gesti, avevano modificato i loro progetti per seguire il Maestro di Nazaret, avevano condiviso con gli altri discepoli dubbi, pensieri, sogni, preoccupazioni. Il discepolato non mette al riparo dalla fatica di credere e dai fraintendimenti, ma è l’unico modo per poter riconoscere la presenza del Risorto nel- la storia. La familiarità con Gesù oggi è possibile anzitutto attraverso la meditazione assidua della Parola di Dio, che si ricapitola nel Cristo. «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (Girolamo, Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cf. Dei Verbum, n. 25).

L’atteggiamento itinerante

L’ardore del cuore, pur senza sfociare nel riconoscimento esplicito, cresce lungo il cammino. Per quale motivo? Certo, il cuore dei due discepoli arde per il fascino del Signore; forse anche per la sua maestria nell’interpretare le Scritture, che apriva la loro mente. Ma si può cogliere un altro motivo: i due diranno che il cuore ardeva «mentre conversava» con loro «lungo la via» (Lc 24,32). Non è solo il fascino personale del predicatore a scaldare il cuore e nemmeno solo la bellezza degli argomenti – due aspetti comunque importanti – ma è soprattutto il fatto che Gesù predica «lungo la via», facendo strada con loro. Hanno avvertito che quella parola non è pronunciata da una cattedra, ma sulla strada, camminando insieme. La parola che scalda, anche quando il predicatore è fermo sul pulpito – come nella Celebrazione eucaristica – è una parola itinerante, che nasce dalla condivisione di un cammino. Ecco un altro criterio: la comunità discerne con un atteggiamento itinerante; non restando seduta “alla meta”, giudicando chi è dentro e chi fuori dal sentiero, né ferma “alla partenza”, lasciando che ciascuno vada dove vuole, ma apprezzando i faticosi cammini di tutti, soprattutto di coloro che arrancano, accompagnandoli verso il Signore e la sua Parola.

Il clima orante e ospitale

«Resta con noi, perché si fa sera» (Lc 24,29). Giunti a Emmaus, l’invito dei discepoli è una risposta al Maestro, quasi un’implorazione a Colui che ha fatto balenare una luce nuova nella loro vita; è una sorta di “preghiera dei fedeli”, come risposta alla parola che scalda il cuore. Il discernimento ecclesiale si realizza in un contesto di preghiera. Ma questo invito esprime anche il desiderio di accogliere “il forestiero”, come l’avevano definito all’inizio del dialogo; quel «resta con noi» è un gesto di ospitalità, l’offerta della casa e della mensa; è un segno offertoriale, la condivisione delle proprie risorse.

Il discernimento ecclesiale non può avvenire se non nello stile dell’invito «resta con noi» (Lc 24,29): cioè, in un clima orante e ospitale, con un’attenzione speciale a chi è “forestiero”, a chi non è dei “nostri”, a chi non viene invitato volentieri a mensa, a chi è escluso dalle competizioni mondane, a chi è lasciato fuori dalla porta di casa.

La preghiera rivolta al “forestiero” perché possa restare con loro esprime una maturazione nell’animo dei discepoli: dalla fase del lamento autoreferenziale stanno passando a quella dell’accoglienza comunitaria del Signore e dei fratelli. Si potrebbe dire, utilizzando il linguaggio teologico, che sta crescendo in loro un “fiuto” ecclesiale, si sta formando un “senso di fede” non più solo individuale ma condiviso (sensus fidei fidelium). Prima pensavano solo a recriminare, a recuperare il passato, a rinchiudersi nuovamente nel loro villaggio; ora cominciano a capire che possono aprirsi all’altro, al pellegrino, e diventare comunità accogliente.

La frazione e condivisione del pane

Il pane posto sulla mensa dai discepoli diventa poi pane eucaristico: così come nei racconti della moltiplicazione, in questa scena l’evangelista usa con cura il linguaggio dell’ultima Cena: «Prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 24,30). Solo «allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31). Riconosce pienamente il Signore risorto chi lo sperimenta come Signore offerto, come pane spezzato e donato. Solo chi avverte l’abbraccio del suo amore può riconoscere e confessare che “Gesù è il Signore” (cf. 1Cor 12,3). Il discernimento ecclesiale prende le mosse dalla frazione e dalla condivisione del pane: sia quella rituale, la Celebrazione e Comunione eucaristica, sia quella esistenziale, il servizio e la prossimità alla gente. Chi si nutre del corpo eucaristico del Signore è nella condizione migliore per discernere le esigenze delle membra del corpo ecclesiale e del corpo sociale.

Il ritorno a Gerusalemme per una partenza missionaria

La scomparsa fisica del Signore è la condizione perché i due discepoli non si attardino a parlare con Lui, non lo accerchino, non si chiudano in una bolla emotiva, è la spinta per tornare a Gerusalemme: ora tocca a loro testimoniare il Signore. Il pane condiviso, insieme all’ardore del cuore, li mette in cammino, li spinge a ripercorrere gli undici chilometri in direzione inversa rispetto all’itinerario precedente. Gerusalemme è la città della Pasqua, il punto d’arrivo della missione terrena di Gesù e il punto di partenza della missione storica della Chiesa. Alla fine del Vangelo, Luca riporterà la profezia del Risorto: una volta sceso lo Spirito, nel nome di Cristo «saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme» (cf. Lc 24,47).

Da Gerusalemme si apre uno sguardo universale, attento ai problemi del mondo, specialmente dei poveri e dei sofferenti, degli ammalati e degli stranieri, evitando di ri- piegarsi su quel narcisismo autoreferenziale, su quella nostalgia del passato – Emmaus – che alimenta le polemiche e fa perdere ai discepoli la gioia evangelica. L’orizzonte missionario, lo sguardo sull’umanità – non limitato alla soluzione delle “questioni interne” – è un’altra importante condizione per un adeguato discernimento ecclesiale.

In comunione con la Tradizione e il vivo Magistero

A Gerusalemme i due trovano «riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro» (Lc 24,33), i quali annunciano il kerygma: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simo- ne!» (Lc 24,34). E loro stessi raccontano quanto è «accaduto lungo la via» (Lc 24,35). Sembra di sentire l’anticipo – o l’eco – di quanto scrive san Paolo, quando, tre anni dopo la conversione, va a Gerusalemme «a conoscere Cefa», rimanendo con lui quindici giorni (cf. Gal 1,18) e poi, quattordici anni dopo, torna di nuovo a Gerusalemme, esponendo il Vangelo alle persone più autorevoli, «per non correre o aver corso invano» (cf. Gal 2,1-2). Il discernimento, per essere davvero ecclesiale, deve avvenire insieme a coloro che sono posti alla guida delle comunità, come garanti della fede apostolica e dell’autenticità dell’annuncio (“Tradizione”) e della comunione ecclesiale (“Cattolicità”).

La narrazione dell’esperienza pasquale tra i due discepoli di Emmaus, gli Undici e altri che erano con loro, porta a conclusione il discernimento: il confronto con la Tradizione e il Magistero, nel reciproco ascolto e nella decisiva testimonianza di Pietro, fa maturare il “consenso dei fedeli” (consensus fidelium), che avviene “con Pietro e sotto Pietro” e mai senza di lui o addirittura contro di lui. Il Cammino sinodale dei due di Emmaus, e di tutti noi discepoli come loro, comporta la piena comunione ecclesiale.

A Gerusalemme, infine, si ferma Maria dopo la Pasqua: nel Cenacolo insieme agli Apostoli, è presente lei, la Madre di Gesù (cf. At 1,14), che diventa sotto la croce la Madre del «discepolo amato», di tutta la Chiesa (cf. Gv 19,25-27). La missione ecclesiale comincia e prosegue in compagnia della Madre.

«Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme»(Lc24,33)

Ponti da costruire: con lo stile di Gesù per incontrare il mondo

Nei primi due anni del Cammino sinodale è emersa una convinzione precisa: le Chiese in Italia vogliono camminare nell’ottica della “conversione pastorale e missionaria” tematizzata da Papa Francesco, in particolare nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, e approfondita a partire dal Convegno Ecclesiale nazionale di Firenze 2015. Il sentire comune espresso dai credenti nel biennio narrativo impegna le Chiese in Italia a procedere nella promozione di comunità più fraterne e accoglienti, capaci di ascoltare e testimoniare alle donne e agli uomini di oggi il messaggio di salvezza e misericordia incarnato dal Signore Gesù.

Con la fase sapienziale, si apre la questione decisiva: come collegare la partenza e la meta, quali ponti costruire perché il rinnovamento ecclesiale, coltivato nella fase narrati- va, non rimanga solo un sogno? Qui si gioca l’esito del Cammino sinodale. Sarebbe inutile e frustrante continuare a ripetere che la realtà non è più quella di prima e che, perciò, occorre realizzare una Chiesa più evangelica, se ora non si focalizzassero i passi da compiere con pazienza e con decisione. Non si chiede di operare un discernimento ecclesiale sull’uno o sull’altro ambito pastorale, ma sulle “condizioni di possibilità” per una conversione di tutti gli ambiti. Si tratta, cioè, di sbloccare o snellire alcuni meccanismi, da molti ritenuti troppo pesanti, che possano favorire una Chiesa più sinodale e, quindi, più missionaria. Senza questa operazione di alleggerimento, diventa difficile affrontare in chiave missionaria qualsiasi azione pastorale, che si tratti dei giovani o delle donne, dei poveri o della cultura, della catechesi o della liturgia.

La fase sapienziale ha il compito di individuare le scelte possibili, preparare delle pro- poste da condurre alla fase profetica, comprendere come si attua il consenso dei fedeli e come questo sostiene le scelte dei Pastori, focalizzandosi non su “che cosa il mondo deve cambiare per avvicinarsi alla Chiesa”, ma su “che cosa la Chiesa deve cambiare per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo”. Più che formulare giudizi su ciò che gli altri devono fare, occorre dunque in questa nuova fase riflettere su come i discepoli di Gesù possano convertirsi per essere più “sinodali”, cioè per “camminare con” il Signore e con tutti i fratelli e le sorelle: appassionati all’amore reciproco (cf. Gv 13,35) e alla testimonianza di Cristo nel mondo (cf. At 1,8). Il discernimento sarà dunque “operativo”, ossia indirizzato alla conversione personale e comunitaria dei discepoli di Gesù, di noi tutti. Il punto chiave per questo discernimento è lasciarsi ispirare dallo stile del Maestro: il suo modo di incontrare le persone, di camminare con loro, di accompagnarle e prendersene cura – in una parola, di “fare sinodo” – è il criterio guida per ogni azione pastorale.

Nell’attuale cambiamento d’epoca, la Chiesa deve ripensare sé stessa guardando al mondo come destinatario della grazia e del Vangelo. Per questa ragione le viene chiesto di non rimanere chiusa nei suoi luoghi protetti, ma di frequentare i crocevia, dando la forma del Vangelo alla vita reale. La testimonianza non può essere ridotta a un’istruzione unidirezionale, in cui qualcuno insegna e qualcun altro apprende. Non si testimonia nulla stando in una posizione esterna, ma solo condividendo i luoghi in cui si può spezzare il pane della comune umanità. L’ambizione del Cammino sinodale è di sostenere nella Chiesa le qualità di una casa aperta e disponibile, accogliente e sollecita, una fami- glia che ascolta perché in essa ci si ascolta. Non si può essere capaci di ascoltare il mondo se non si trova il modo di ascoltarsi reciprocamente.

In vista di questa conversione, l’ampio ascolto delle Chiese ha messo in luce problemi e suggerito soluzioni. Il tutto è stato raggruppato in cinque macro-temi, all’interno dei quali sono stati individuati alcuni sotto-temi. I macro-temi, sottoposti all’attenzione della 77a Assemblea Generale della CEI (22-25 maggio 2023) e all’Assemblea dei referenti diocesani (25-26 maggio 2023), sono: 1) la missione secondo lo stile di prossimità; 2) il linguaggio e la comunicazione; 3) la formazione alla fede e alla vita; 4) la sinodalità permanente e la corresponsabilità; 5) il cambiamento delle strutture. Per favorire nelle Chiese locali il confronto operativo su questi grandi temi, a partire dalla fine di agosto, verranno proposte delle schede con questionari dettagliati.

1. La missione secondo lo stile di prossimità

La testimonianza del Regno di Dio, annunciato e vissuto in prima persona da Gesù Cristo, è il servizio essenziale della Chiesa (cf. Lumen Gentium, nn. 3 e 5). Nella fase di ascolto, questa coscienza è apparsa radicata e diffusa, insieme al rammarico per le occasioni in cui la Chiesa non riesce a rendere trasparente il nucleo di tale testimonianza: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (Francesco, Evangelii Gaudium, n. 164). Le molte esperienze di incontro e relazione, attivate sia con i gruppi sinodali sia con i Cantieri di Betania, hanno fatto emergere il profondo bisogno di speranza che abita chiunque abbia preso parte in qualche modo al Cammino sinodale. Desideri di gioia, di felicità, di consolazione, di salvezza che aprono all’ascolto e alla condivisione, secondo lo stile con cui Gesù si affiancò ai due viaggiatori di Emmaus. Molte narrazioni hanno sottolineato la bellezza e il bisogno di lasciarsi incontrare insieme da Cristo, in particolare dopo i periodi di isolamento dovuti alla pandemia. Ma si è anche notato con amarezza come non siano pochi coloro che, per vari motivi – e non sempre per scelta –, si sentono ai margini di questa esperienza di comunione che è la Chiesa.

Le consultazioni hanno rilevato che il mondo, creato e amato da Dio, è amato anche dal suo popolo, che, per questo, intende partecipare attivamente alla vita sociale e politica, sentirsi umano in mezzo all’umanità, senza la pretesa di rivendicare spazi di privilegio ed egemonie culturali, ma ponendosi come sale, luce, lievito, seme, grano di senapa… Queste immagini, utilizzate da Gesù per parlare dei discepoli e della crescita del Regno di Dio (cf. Mt 5,13-16 e 13,1-52), tracciano il programma della missione nel mondo per le Chiese in Italia. La “fine della cristianità” crea un’occasione per il rinnova- mento dell’annuncio e del suo stile. I vasti campi della missione sono terreni apparente- mente duri, ma in realtà fertili se coltivati nello stile della “prossimità” e non della conquista. La rilevazione di una “esculturazione” del cristianesimo attuata anche in Italia non deve portare alla riattivazione di tentazioni culturalmente colonialiste, ma all’elaborazione di nuove forme di “inculturazione”, secondo lo stile della prossimità.

> Ascolto, incontro, misericordia
La prossimità è un’esperienza personale, un “camminare accanto” che si concretizza nella relazione autentica. Ma non può ridursi allo sforzo dei singoli: le comunità possono diventare spazi di prossimità, dove ciascuno sperimenta accoglienza, ascolto, compagnia. È fondamentale che le comunità sappiano stare accanto alle persone che vivono un tempo di “soglia” nella vita. Occorre comprendere come rinnovare strutture, tempi e modi della pastorale affinché siano luoghi e spazi di ospitalità, aperti anzitutto a favorire l’incontro con tutti. Si auspica una Chiesa in cui chiunque possa scoprire il desiderio di Cristo di mangiare la Pasqua con i suoi discepoli. Gli atteggiamenti di giudizio amareggiano molti credenti e allontanano quelli che si convincono di non esserlo o sono alla ricerca dei motivi per esserlo.
Si avverte l’esigenza di aprire strade da percorrere perché tutti abbiano posto nella Chiesa, a prescindere dalla loro condizione socio-economica, dalla loro origine, dallo status legale, dall’orientamento sessuale. In particolare, su quest’ultimo aspetto, le giova- ni generazioni, anche all’interno della Chiesa, sono molto sensibili agli atteggiamenti che sanno comprendere rispetto a quelli che respingono. Tali riflessioni chiedono, da un lato, di condividere le “buone pratiche” già attive nei territori ed emerse con i Cantieri di Betania e, dall’altro, di avviare processi di approfondimento sul piano antropologico e teologico, per integrare meglio le istanze del rispetto totale per le persone e della loro crescita nella verità.

> Impegno dei laici; ambienti di vita; partecipazione e bene comune
Nelle narrazioni del biennio di ascolto è emersa la necessità di un impegno attivo in alcuni ambiti cruciali: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità. Sotto questo punto di vista, viene ritenuto necessario il contributo delle persone laiche: impegnate in prima persona nella vita professionale, civile e sociale, la loro testimonianza matura concretizza nel mondo lo stile della prossimità.

> Il contributo alla costruzione di una cultura dell’incontro
La questione del dialogo e del confronto con le altre realtà sociali e culturali del nostro tempo è stata particolarmente evidenziata dal popolo di Dio. Si sente il desiderio di atteggiamenti ecclesiali che sappiano ascoltare con rispetto la realtà dell’altro, il cui valore è ben più grande dell’idea professata. Questa convinzione è apparsa in ogni dibattito, con il desiderio di sottrarsi alle polarizzazioni che spesso compromettono un vero stile ecclesiale. La Chiesa è chiamata, infatti, a dare testimonianza di un’altra modalità possibile di confronto.
Un tempo funzionava il modello delle scuole sociopolitiche, che hanno accompagnato generazioni di laiche e laici impegnati: occorre riflettere su quali vie sperimentare per offrire laboratori di formazione di pensieri e azioni ispirati ai valori cristiani. La dottrina sociale della Chiesa richiede di essere affiancata dalla prassi sociale dei cristiani, che da sempre sono in prima fila nella costruzione di un mondo più conforme alle esigenze del regno di Dio.

L’esistenza è intessuta di incontri con gli altri e la comunità si forma mediante la partecipazione di ciascun individuo: quali vie percorrere per la costruzione di una Chiesa davvero inclusiva, propositiva, responsabile, testimone di verità?

2. Il linguaggio e la comunicazione

Le conversazioni sinodali hanno insistito sulle molte forme di espressione che caratterizzano il linguaggio cristiano, nella sua storia e nella sua tradizione, e che possono esse- re ulteriormente rivitalizzate per testimoniare il significato del cattolicesimo per le donne e per gli uomini di oggi. Si tratta anzitutto di un linguaggio che incroci i vissuti e le ricerche di senso delle persone, veicolato non solo attraverso la parola parlata, ma anche con le immagini, l’arte, i racconti, la messa in comune di esperienze, i gesti di attenzione e di cura per il creato. Ci sono poi le varie modalità di espressione offerte dagli sviluppi tecnologici, a cui tutti ormai siamo abituati, ma che rappresentano il modo principale in cui comunicano le generazioni più giovani. Senza dimenticare le forme della vita religiosa che trovano la più pregnante realizzazione comunitaria nelle espressioni del rito e della liturgia. Queste tipologie di linguaggio e di comunicazione, se alimentate dall’esperienza di fede, sono in grado di intercettare la sete di verità, bellezza e giustizia dell’umanità. Il punto non è quindi trovare linguaggi più efficaci, ma entrare in nuovi paradigmi. La comunicazione, infatti, per essere credibile, ha bisogno di attingere alla vita coerentemente vissuta di chi si esprime attraverso di essa. Occorre tornare a frequentare il cortile del comune contesto culturale, non più esclusivamente dominato da una visione religiosa della vita, ma pur sempre luogo delle grandi questioni dell’uomo che attendono risposta. La Chiesa, per quanto custode del tesoro della Rivelazione, è parte di questa umanità che ricerca continuamente Cristo, che è via, verità e vita.

> La sfida della fraternità culturale
Impegnarsi per una fraternità culturale non deve portare con sé intenti apologetici, ma intenzioni di ascolto e di condivisione. Sono le domande dell’uomo di oggi che possono suscitare nuove luci dalla rivelazione evangelica. In questo senso, l’annuncio non sarà lo sforzo di veicolare in modo più accattivante formule consolidate, ma di trovare insieme una rinnovata sintesi cristiana scaturita dal confronto con la reale condizione umana odierna, con i suoi saperi, le sue conoscenze del mondo. Si sente il bisogno di un nuovo discorso cristiano che si lasci sollecitare, in una vera fraternità culturale, dal con- testo contemporaneo. In questo compito devono essere convocate le competenze della teologia, dell’elaborazione culturale cristiana, nonché dei molti strumenti di comunicazione della Chiesa, su cui si chiedono riflessioni attente.

> Come camminare al fianco dei giovani?
Il tema del linguaggio, inteso in senso ampio, chiama in causa con particolare preoccupazione il clamoroso distacco delle giovani generazioni dal “sentiment” religioso e della vita della Chiesa. Molte sono le cause di questa separazione, che vanno analizzate in modo serio e accurato. E certamente non basta, per entrare in sintonia, insistere su una dottrina, magari resa pop da nuovi stratagemmi mediali. Le giovani generazioni, invece, hanno bisogno di scoprire nell’incontro con Gesù nella Chiesa una causa in cui vale la pena coinvolgersi. Questo tratto – come si fa notare con convinzione – non può essere solo un argomento retorico per riconquistare i giovani, ma la reale conversione di una comunità che vuole ritrovare sé stessa. A questo riguardo diventa necessario chieder- si quali siano le pratiche possibili per coinvolgere le nuove generazioni e per costruire con loro spazi di riflessione sui temi esistenziali e teologici. E diventa altrettanto importante riflettere sui modi in cui i linguaggi parlati dai giovani, con le loro forme spesso mediate tecnologicamente, possono esprimere certe fragilità, un reale desiderio di comunità, un autentico bisogno di orientamento.

> Una liturgia che incontra la vita
Essendo fonte e culmine della vita della Chiesa, la liturgia, e in modo particolare la celebrazione dell’Eucaristia, viene indicata da tutti, in modo insistente e accorato, come un banco di prova per vivere e trasmettere il significato della vita cristiana nell’attuale cambiamento di epoca.

La fase narrativa del Cammino sinodale ha segnalato alcune fatiche delle celebrazioni delle nostre comunità. S’insiste sull’uso di linguaggi lontani dalla sensibilità odierna, su una qualità celebrativa deludente e incapace di favorire la partecipazione e di tradursi in gesti di vita, sulla difficoltà di fare del momento celebrativo un avvenimento davvero comunitario che unisca la gente e parli alle loro storie. Questo divario tra liturgia e vita emerge nitidamente nel momento omiletico.

Si chiede di ripensare seriamente la liturgia, spesso senza riuscire a specificare in cosa. Questa domanda non del tutto codificata consegna comunque il bisogno di riscoprire la bellezza della liturgia, la necessità di affinare l’arte del celebrare e l’urgenza di un’autentica formazione liturgica di tutto il popolo di Dio. Per rendere nuovamente significativa per le persone la vita liturgica delle comunità e accogliere sfide e desideri della fase di ascolto, occorre impegnarsi in una seria e vitale formazione alla liturgia, ma anche dalla liturgia che trasfigura la vita del credente. Infatti, «una visione della liturgia solo in prospettiva concettuale e didattica va contro la sua natura di forma che dà forma, secondo la quale il credente, pervenuto alla fede, si lascia plasmare ed educare dall’azione liturgica, quale espressione del culto della Chiesa nella sua fontalità sacramentale, sorgente della vita cristiana» (Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, n.17). In questa prospettiva l’azione formatrice della liturgia «riguarda la realtà del nostro essere docili all’azione dello Spirito che in essa opera, finché non sia formato Cristo in noi (cfr. Gal 4,19)» (Francesco, Desiderio desideravi, 42).

In più contributi, è stato sottolineato il ruolo prezioso della pietà popolare, nella quale «si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi» (Francesco, Evangelii gaudium, 123). Al contempo, però, si chiede che le sue pratiche e i suoi riti vengano continuamente illuminati dalla luce del Vangelo per evitare strumentalizzazioni o derive sentimentaliste. Anche la questione delle strutture della pietà popolare (santuari, associazioni, confraternite) deve entrare nel dibattito. In questo ambito, potrebbe risultare utile offrire delle linee orientative condivise a livello nazionale per favorire chiarezza nelle relazioni tra Diocesi, parrocchie e varie associazioni. Un intervento simile sarebbe di aiuto soprattutto in quelle realtà dove è più difficile operare il rinnovamento necessario.

Quali chiavi interpretative e comunicative deve trovare la Chiesa per non la- sciare nessuno “orfano di Vangelo”?

3. La formazione alla fede e alla vita

È fondamentale che le comunità ecclesiali accrescano la consapevolezza del loro compito educativo e siano sempre più attente alla formazione della persona e alla vita cristiana. Si avverte l’importanza di ripensare quest’ultima in modo maggiormente integrato e comunitario; di porre attenzione alla formazione del “credente” e a quella specifica dei ministri e di coloro che svolgono un servizio; di saper contrastare i rischi di prassi frammentate, occasionali, poco curate, distanti dai bisogni delle persone. Diverse forme ereditate dal passato, allora efficaci, mostrano oggi la loro inadeguatezza. Per essere all’altezza del tempo e delle sfide odierne, bisogna curare con attenzione la qualità delle azioni educative già ordinariamente messe in atto nelle comunità; fare i conti con la fatica di abbandonare il certo per l’incerto, con resistenze, stanchezze e timori di varia natura; saper abitare una sorta di cantiere ecclesiale permanente, nel quale il nuovo prende forma piuttosto lentamente e per via di tentativi che provano a percorrere vie nuove e inesplorate; valorizzare al meglio le risorse già presenti nelle comunità e saperne attivare altre. C’è bisogno di uno nuovo slancio, del coraggio di compiere scelte innovative.

> Accanto a ogni età della vita
È decisivo curare la formazione alla vita cristiana in tutte le età della vita. Appare ormai inefficace il modello che agisce solo nella prospettiva dei sacramenti, poiché l’impegno cristiano può essere assunto solo nella continuità delle differenti tappe dell’esistenza e in relazione alle diverse situazioni personali, partendo sempre dalla centralità del mistero pasquale, annunciato dalle Scritture e celebrato nella Liturgia, e dalla rilevanza delle condizioni esistenziali. È necessario, cioè, superare il modello “scolastico” e l’infantilizzazione della formazione cristiana attivando proposte più attente ai contenuti essenziali e alla ricchezza dei linguaggi (simbolici, narrativi, rituali…), dove vengano prese in considerazione le molteplici dimensioni della persona e della vita cristiana; come anche, nella misura in cui si lascino coinvolgere, vengano accompagnate le famiglie. In questa prospettiva, si chiede di valutare la possibilità di linee comuni nazionali che possano essere riferimento per tutte le Diocesi mentre, riguardo ai percorsi di iniziazione, si domanda un approfondimento, anche canonico, sulla figura delle madrine e dei padrini. Occorre poi ridare centralità alla Parola di Dio e riflettere attentamente su come accrescere, sia nelle comunità cristiane sia nella società civile, la cultura teologica. Per rendere efficace l’azione educativa si ritengono importanti gli ambienti di vita: oratori, scuole, centri di formazione, università, associazioni, movimenti, ecc. Spesso è in questi contesti che si realizzano le condizioni per un incontro autentico con l’appartenenza credente e la formazione cristiana.

> Una formazione sinodale
La fase narrativa consegna una richiesta pressante di ripensamento della formazione di coloro che esercitano un ministero e vivono una specifica vocazione, in particolare i presbiteri. Chi educa a nome della Chiesa deve essere aiutato a coltivare costantemente la propria umanità e la propria fede, perché sappia esercitare l’ascolto, l’accoglienza, la dedizione gratuita, la carità pastorale. È stata messa in luce l’esigenza di una formazione secondo una prospettiva maggiormente sinodale, più attenta a sviluppare competenze relazionali, a far crescere la persona nell’arte dell’accompagnamento.

È fondamentale dunque approfondire sia il tema della formazione al discernimento, alla gestione delle conflittualità, alla leadership sia quello della formazione specifica dei presbiteri, dei religiosi, dei laici. È emersa inoltre l’istanza di ripensare la formazione iniziale dei sacerdoti, superando il modello della separazione dalla comunità e favorendo modalità di formazione comune tra laici, religiosi, presbiteri.

> Una sfida per tutti
L’educazione tesa alla formazione delle persone non è questione che riguarda soltanto coloro che esercitano direttamente una responsabilità, ma interpella tutti e chiama in causa l’intera comunità ecclesiale. Occorre chiedersi quali aspetti chiedano di essere affrontati perché le diverse realtà educative della Chiesa, dedicate alla crescita delle nuove generazioni, possano sia svolgere al meglio il loro compito sia crescere nella capacità di agire insieme tra loro e con le realtà del territorio. Si evidenzia, inoltre, l’importanza di delineare pratiche per ampliare nelle comunità ecclesiali la capacità di essere parte attiva nella?costruzione di patti educativi territoriali.

Come sintonizzare formazione ed educazione accompagnando la crescita permanente di tutti i membri della comunità, in ogni fase della vita e in qualsiasi ruolo si operi?

4. La sinodalità e la corresponsabilità

Una Chiesa che ascolta può nascere solo in una Chiesa che si ascolta. Un leitmotiv delle consultazioni è stato quello di rendere permanente lo stile sinodale, cercando forme reali che diano concretezza alla comune dignità battesimale e favoriscano una vera corresponsabilità ecclesiale.

> Riconoscere la ministerialità comune
La fase narrativa ha messo in evidenza la domanda di riconoscimento della ministerialità comune dei battezzati; si chiede che prendano forma, secondo la creatività dello Spirito, le nuove ministerialità che la vita stessa della Chiesa sta suggerendo. Esse si legano alla missione della Chiesa, alle esigenze stesse dell’annuncio del Vangelo oggi. I ministeri, ad ogni livello (ordinati, istituiti, di fatto), non sono funzioni puramente “intraecclesiali”, ma servizi “missionari” aperti al mondo. Si propone così, quasi unanimemente, di immaginare dei ministeri di ascolto, di accoglienza, di servizio caritativo, necessari soprattutto nelle metropoli dove maggiori sono le fatiche e i vuoti esistenziali. Ogni battezzato ha carismi che sono un dono per la comunità: vanno riconosciuti e tradotti in ruoli, compiti, ministeri.

L’istanza di approfondire la ministerialità nella Chiesa implica la necessità di aiutare le comunità a riflettere sulle diverse forme di ministero ecclesiale, sulla loro distinzione, sui criteri attraverso i quali chiedere il coinvolgimento delle persone.

> Il riconoscimento del ruolo femminile
È urgente un riconoscimento reale del senso e del ruolo delle donne all’interno della Chiesa, già preponderante di fatto, ma spesso immerso in quella ufficiosità che non con- sente un vero apprezzamento della sua dignità ministeriale. Non si tratta di estendere prerogative, ma di ripensare in radice il contributo femminile in rapporto al senso stesso della ministerialità e al profilo dell’autorità nella Chiesa. La questione delle donne rap- presenta un banco di prova fondamentale per la Chiesa chiamata a fare i conti con acquisizioni culturali che ancora la disallineano dalla comune vita sociale. In quest’ottica, diventa importante individuare forme operative che esprimano chiaramente la piena valorizzazione femminile nella corresponsabilità ecclesiale.

> Al servizio della corresponsabilità
La corresponsabilità nella Chiesa ha trovato dal Concilio Vaticano II in poi degli strumenti per la sua realizzazione. È convinzione di tutti che siano stati un grande passo in avanti, ma che servano anche scelte ulteriori, perché gli strumenti già esistenti, a partire dagli organismi di partecipazione, possano funzionare come spazi di autentico discerni- mento ecclesiale: per questo occorre incentivare, nel loro funzionamento, la dinamica della sinodalità.

Si chiede un ripensamento a livello canonico della distinzione – attualmente troppo marcata – tra piano consultivo e piano deliberativo, accanto a una revisione delle procedure giuridiche che influiscono sull’attuale difficoltà di riorganizzare l’operatività pastorale in senso più condiviso.

La Chiesa è una casa aperta e accogliente: come far sentire maggiormente coinvolti nella cura e nella gestione coloro che già la abitano, e in che modo renderla accogliente per coloro che sono o si sentono sulla soglia?

5. Il cambiamento delle strutture

«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’auto-preservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie» (Francesco, Evangelii Gaudium, n. 27).

Le Chiese in Italia hanno a che fare con vari tipi di strutture: quelle materiali e amministrative, al centro di processi di rinnovamento già avviati o non più rinviabili, ma anche pastorali, che a volte appaiono obsolete o legate a modelli sociali ed ecclesiali del passato.

Il biennio di ascolto ha evidenziato che il rinnovamento delle strutture deve rispondere a criteri ecclesiali. Occorre, cioè, mettere al centro il servizio dell’annuncio e la missione della comunità, in modo che le strutture siano una risorsa e non un peso per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo. È necessario operare un cambiamento di mentalità sotto vari punti di vista: la gestione delle strutture deve diventare sempre più azione comunitaria, nella logica sinodale; le responsabilità devono essere il più possibile condivise, mentre oggi una delle fatiche spesso evidenziate riguarda l’eccessivo peso burocratico che spesso ricade sulle spalle di poche persone e soprattutto dei Pastori; le competenze, anche tecnico-professionali, di laiche e laici devono essere valorizzate, così da attuare un loro coinvolgimento non puramente consultivo o funzionale.

> Strutture materiali
Il patrimonio di strutture materiali a disposizione delle comunità è ingente e diversificato. Ci sono anzitutto le tante chiese, spesso beni artistici di grande valore culturale: la maggior parte sono utilizzate, mentre altre vengono progressivamente abbandonate. Ci sono canoniche, seminari, oratori, case di ordini religiosi: alcune volte questi edifici non corrispondono più alle necessità per cui erano stati pensati e costruiti in origine. Ci sono poi strutture ricreative o sportive, spazi teatrali, centri culturali; strutture assistenziali, fondamentali ad esempio per l’educazione dei piccoli, la cura di anziani o ammalati. A tutti i livelli, la loro gestione richiede risorse economiche non sempre disponibili, competenze specifiche e visione prospettica. Occorre inoltre riflettere su alcuni aspetti normativi per fornire indicazioni pratiche e valutare come procedere in casi specifici, ad esempio, per alienare o riconvertire determinati beni. Da più parti è richiesta un’opera di formazione, coordinata a livello nazionale, perché si riconosce una carenza di competenze locali. Emerge inoltre la necessità di attuare scelte urgenti per un’accurata ricognizione delle strutture; per la costituzione di équipe qualificate (con figure professionali) in un rapporto di scambio sistematico con gli organismi pastorali diocesani; per una valutazione ponderata e collegiale dell’utilizzo dei beni; per l’elaborazione di strategie di valorizzazione e/o rigenerazione con il possibile coinvolgimento di istituzioni pubbliche (Comuni, Regioni, Ministeri …) o private; per la messa a punto di progetti integrati che prevedano precisi dispositivi di gestione e concrete opportunità di servizio.

> Strutture amministrative
La vita delle Chiese in Italia si articola secondo un gran numero di entità amministrative. In primo luogo, le parrocchie, che in varie zone vengono riunite in Unità pastorali: un processo che richiede attenzioni specifiche. La fase di ascolto ha fatto emergere il grande carico che grava sui parroci, oberati da responsabilità amministrative crescenti. Occorre per questo riflettere su come coinvolgere di più e meglio i laici nella gestione, con deleghe specifiche e procure efficaci. Per l’amministrazione di parrocchie prive di parroco residente, va approfondita la possibilità di affidarle a un diacono (diaconia pastorale) secondo il can. 517 §2 del Codice di diritto canonico. Così come va esaminata la figura dell’animatore di comunità (laici, consacrati, diaconi) o di zone pastorali (tema sviluppato in vari Cantieri dell’ospitalità e della casa), già presente in alcune Diocesi, anche nella modalità delle équipe o dei gruppi ministeriali. È necessaria una semplificazione delle certificazioni, ad esempio per i matrimoni, attualmente troppo complicata. Un altro ambito di riflessione riguarda il possibile accentramento di precise aree gestionali in capo alle Diocesi.

> Strutture pastorali
La fase di ascolto ha evidenziato il bisogno di pensare una pastorale “in uscita”, secondo lo stile indicato in Evangelii Gaudium, che serva ad abitare i luoghi “di soglia” e a favorire il dialogo con le realtà della povertà, dell’emarginazione, della solitudine e dell’esclusione. Allo stesso tempo emerge con forza – anche attraverso l’esperienza della pandemia – la necessità di rimettere al centro l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, così come di dedicare tempo alla preghiera personale e comunitaria. Queste esigenze portano a un ripensamento delle strutture pastorali in chiave sinodale, a cominciare dal- la parrocchia, con il coinvolgimento di coloro che partecipano alla vita delle comunità cristiane. Viene sottolineato con insistenza il bisogno di passare da una “pastorale degli eventi” a una “pastorale della vita quotidiana”. Si suggerisce di aprire una riflessione an- che sulle parrocchie, sulle Unità pastorali, sugli uffici di Curia, a tutti i livelli, per chiari- re le?singole competenze e migliorare le interazioni sinergiche.

Le strutture della Chiesa, nei loro diversi ambiti, hanno bisogno di solide competenze, professionalità formate e divisione responsabile dei compiti: quali percorsi possono essere individuati per una gestione virtuosa ed efficace di beni e persone unita a una pastorale di nuovo attenta alla vita quotidiana?

Non ardeva forse in noi il nostro3cuore?» (Lc 24,32)
Il discernimento ecclesiale: la conversazione nello Spirito e i laboratori della fede

Il Convegno Ecclesiale Nazionale tenutosi a Palermo nel 1995 affrontò il tema del discernimento comunitario, fissandone gli elementi nel documento finale: «Docilità allo Spirito e umile ricerca della volontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale; obbedienza ai Pastori, cui spetta disciplinare la ricerca e dare l’approvazione definitiva. Così inteso, il discernimento comunitario diventa una scuola di vita cristiana, una via per sviluppare l’amore reciproco, la corresponsabilità, l’inserimento nel mondo a cominciare dal proprio territorio. Edifica la Chiesa come comunità di fratelli e di sorelle, di pari dignità, ma con doni e compiti di- versi, plasmandone una figura, che senza deviare in impropri democraticismi e sociologismi, risulta credibile nella odierna società democratica. Si tratta di una prassi da diffondere a livello di gruppi, comunità educative, famiglie religiose, parrocchie, zone pastorali, diocesi e anche a più largo raggio» (Conferenza Episcopale Italiana, Con il dono della carità dentro la storia, n. 21).

Il Cammino sinodale è una grande esperienza di discernimento ecclesiale, che incarna tutti gli elementi già pensati dalle Chiese in Italia ormai tre decenni fa. Due sono i metodi proposti e praticati nel biennio narrativo: la conversazione nello Spirito, dove l’ascolto della Parola di Dio e l’ascolto reciproco sono stati apprezzati al punto da chiedere unanimemente di trasformare questo metodo in uno stile permanente dell’incontro nelle comunità; i Cantieri di Betania, avviati nel secondo anno e tutt’ora in corso, che privilegiano le esperienze di tipo laboratoriale. Anche questa seconda metodologia è largamente indicata dalle Diocesi come stile da assumere in modo permanente.

Ciascuna Chiesa particolare individuerà i modi più adatti per condurre il discernimento sapienziale sulle narrazioni del primo biennio. Alcune Diocesi sono impegnate nel Sinodo locale, altre l’hanno appena concluso: certamente hanno già sperimentato forme sistematiche di discernimento comunitario. Qui ci si limita a indicare alcuni elementi metodologici – che non sono alternativi tra loro, ma vanno integrati l’uno con l’altro – per valorizzare la grande ricchezza del lavoro finora svolto nel Cammino sinodale.

1. L’adattamento della conversazione nello Spirito alla fase sapienziale

La conversazione nello Spirito può essere intesa come una prassi di discernimento ecclesiale, resa possibile da una frequentazione costante con la Parola di Dio insieme a una ricerca condivisa, capace di condurre al riconoscimento dei “segni dei tempi”. Nell’incontro delle voci di ciascuno risuona la voce dello Spirito, che trasforma interiormente, apre il cuore a un “di più” di amore, proietta con fiducia verso il futuro, orienta carismi e ministeri a servizio del Vangelo. La conversazione nello Spirito non è una mera tecnica da applicare pedissequamente né una procedura per pochi esperti: è uno stile da acquisire nel tempo, un modo di stare nella realtà da credenti e come Chiesa.

Adottata e adattata in tutte le occasioni di incontro di cui le comunità sono ricche (riunione degli organismi di partecipazione, incontri dei catechisti e degli operatori del- la carità, dei ministri e degli animatori di oratorio, ecc.), crea uno spazio di ascolto e di dialogo che favorisce le comuni decisioni, dispone a una maggiore essenzialità e concretezza nel dibattito, mantiene lo sguardo aperto verso i problemi del mondo.

Rispetto ai “gruppi sinodali” avviati nel primo anno del Cammino, l’adattamento – previsto anche dal Sinodo generale (cf. XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum Laboris, nn. 32-42 e B.2.5.e) – potrà comportare che ogni incontro ecclesiale comunitario prenda avvio non da una frettolosa preghiera, ma dall’ascolto della Parola di Dio e da un giro di brevi risonanze tra i presenti, impegnando alcuni minuti iniziali. La profondità della comunicazione che in questo modo si crea, facendo spazio all’azione dello Spirito, renderà anche più fluidi i dialoghi, i confronti, i dibattiti successivi; il clima spirituale non nuoce affatto alla concretezza e alla franchezza, ma solo alla “vis polemica”, spesso sterile e divisiva.

> La dinamica del confronto e del dibattito
Il discernimento ecclesiale, immerso nel clima spirituale “acceso” dalla Parola di Dio e dalle risonanze, comporta poi la ricerca delle convergenze, senza appiattire le opinioni e le divergenze, ma valorizzando l’apporto di chi, per doni e compiti ecclesiali, può contribuire a identificare strade nuove sulle quali lasciar maturare il consenso. Chi guida il gruppo deve cercare di evidenziare, nei tornanti del confronto, i punti assodati che non vanno continuamente rimessi in discussione, ponendo invece al successivo dibattito gli aspetti controversi, chiedendo sobrietà nei modi e nella durata degli interventi, e se necessario moderando il confronto. Qualche volta può anche invitare a trascorrere alcuni minuti di silenzio – come da prassi negli ultimi Sinodi, tra un intervento e l’altro – per interiorizza- re, evitare risposte impulsive, riflettere meglio sulle proprie posizioni. Esistono ormai parecchi studi sulla “gestione dei conflitti”, che possono essere utili a chi coordina i gruppi.

A poco a poco si impara a distinguere l’essenziale, su cui ritrovarsi tutti, dall’accessorio, su cui si possono mantenere vedute e prassi diverse. Questo è il tipo di armonia di cui lo Spirito è maestro (cf. XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Instrumentum Laboris, n. 39). Infine, gli orientamenti individuati sono sottoposti al discernimento ultimo di chi esercita l’autorità della presidenza, perché possa essere eventualmente assunto, integrato e suggellato con una decisione che porta a compimento l’intero processo. Questa metodologia non è ancora quella della fase profetica, nella quale si dovrà utilizzare anche lo strumento del “voto” per registrare consensi e dissensi; prepara tuttavia quella fase “arando il terreno” per giungere, con le decisioni sinodali finali, al “consenso dei fedeli” (consensus fidelium).

> L’apporto dei Cantieri e delle esperienze laboratoriali
I Cantieri di Betania, aperti nelle Chiese in Italia, stanno registrando una varietà di esperienze di tipo laboratoriale piuttosto promettenti per il futuro. Molte Diocesi, da tempo, li stanno sperimentando con nomi e modalità differenti e diverse Chiese locali segnalano un coinvolgimento inaspettato rispetto a queste proposte ecclesiali da parte di “mondi” che potevano apparire indifferenti e lontani. Ad esempio, quelli delle professioni: insegnanti e dirigenti, studenti delle scuole superiori e universitari, medici e operatori sanitari, giornalisti, imprenditori, volontari, operatori nella cooperazione, sindacalisti, amministratori e politici… Non che tutto sia liscio: anzi, parecchie comunità cristiane sono consapevoli che si tratta di passi iniziali; si è però in presenza di una “apertura di credito” inedita. Il fatto che questi mondi siano invitati dalla Chiesa non per sentirsi impartire insegnamenti cattedratici, ma per mettersi sinodalmente attorno allo stesso tavolo e ascoltarsi a vicenda, crea nuovo interesse: la condivisione di sforzi, spesso faticosi, può portare alla realizzazione di iniziative pratiche per migliorare il mondo, per costruire il Regno di Dio (cf. Gaudium et Spes, n. 39). Non mancano poi esperienze significative nei vasti campi del disagio e delle povertà o negli ambiti dei giovani, i quali, se ascoltati e lasciati esprimere laboratorialmente con i loro linguaggi (compresi sport, musica, arte, social), non sono così impermeabili come sembrerebbe a prima vista. Sono state infine segnalate esperienze positive in campo ecumenico e interreligioso: l’ascolto reciproco fa cadere tanti pregiudizi e aiuta a individuare ciò che unisce.

Riflettere su queste esperienze, tentarne di nuove facendosi anche aiutare da quelle delle altre Diocesi, cercare di dare spazio alle pratiche e poi – secondo il principio che «la realtà è superiore all’idea» (cf. Evangelii Gaudium, n. 231) – riflettere, ragionare e rilanciare: questo metodo costituisce un altro apporto essenziale al discernimento, in vista delle decisioni pastorali da assumere.

2. Orientamenti metodologici

Nella fase narrativa le Diocesi hanno sperimentato l’ascolto, ampliato grazie alle esperienze locali promosse nell’ambito dei Cantieri di Betania. Il loro avvio ha già richiesto a ogni Chiesa locale un esercizio di discernimento: si tratta ora di proseguire il cammino iniziato; rafforzare l’esercizio del discernimento a partire dai temi e dalle domande pro- poste in queste Linee guida, in base a quanto è emerso nel proprio contesto ecclesiale, per fornire un contributo a tutte le Chiese che sono in Italia; affrontare gli interrogativi cercando di suggerire decisioni possibili, impegni, aspetti ancora da sviluppare, in vista della fase profetica.

> Il livello locale, interdiocesano o regionale
In questi due anni, per favorire e animare un ascolto ampio e diffuso, sono stati coinvolti diversi soggetti: équipe sinodali, organismi di partecipazione, uffici di Curia, parrocchie, aggregazioni laicali, ecc. Anche per la fase sapienziale, nella varietà delle singole realtà, ogni Diocesi troverà il modo più adatto per integrare questi soggetti nel discerni- mento al fine di individuare proposte e scelte operative. Le équipe sinodali rappresenta- no una risorsa per facilitare integrazione e circolarità tra i diversi soggetti ecclesiali. Le scelte operative e le decisioni che riguardano il livello diocesano potranno essere prese da ogni Diocesi quando il discernimento sapienziale sarà considerato maturo e il consenso ecclesiale raggiunto.

A giocare un ruolo decisivo in questo processo potranno essere gli organismi di partecipazione (il Consiglio pastorale diocesano e i Consigli pastorali parrocchiali), che riuniscono intorno ai Pastori le varie esperienze ecclesiali (associazioni, movimenti, vita con- sacrata, ecc.). La centralità degli organismi di partecipazione in questa fase è funzionale alla loro crescita e valorizzazione, perché il Cammino sinodale non sia costituito primariamente da una serie di iniziative pastorali “straordinarie”, ma favorisca la conversione sinodale del processo “ordinario” della Chiesa.

I temi e gli interrogativi scelti potranno essere approfonditi con l’aiuto di esperti, senza dimenticare l’ascolto della vita e delle esperienze, includendo anche le voci più lontane e meno rappresentate negli organismi di partecipazione.

Proprio al fine di continuare questo ascolto ampio, i referenti diocesani e parrocchia- li, le équipe sinodali e i facilitatori, formati in questi anni, potranno sostenere il discernimento nelle Chiese locali con i gruppi sinodali, già sperimentati e consolidati, e la valorizzazione del metodo della conversazione nello Spirito. Il lavoro dei referenti continuerà ad essere supportato dal livello nazionale con incontri on line su base regionale e in presenza.

Come già accaduto nella fase narrativa, potrà giovare all’intero processo la costruzione di reti a livello interdiocesano o regionale: le Chiese vicine potranno, infatti, rafforzare le “buone pratiche” già in atto in diversi luoghi, quali ad esempio la condivisione di esperienze ecclesiali e la preparazione di scelte e iniziative pastorali comuni in un contesto territoriale omogeneo.

Da parte sua, il Comitato nazionale del Cammino sinodale offrirà strumenti per sostenere questo esercizio a livello locale, del quale ogni Diocesi rimarrà responsabile e protagonista. Il frutto del discernimento non solo servirà a ogni Chiesa locale per sceglie- re i suoi prossimi passi nel cammino della conversione sinodale e missionaria, ma verrà restituito al Comitato nazionale per arricchire la prospettiva nazionale.

> Il livello nazionale
Similmente a ciò che avverrà nelle Diocesi, il discernimento ecclesiale procederà anche a livello nazionale sui temi emersi nella fase narrativa, a partire dalle domande proposte in queste Linee guida, che potranno ulteriormente essere specificate. Insieme ai Pastori, gli organismi coinvolti saranno il Comitato nazionale del Cammino sinodale e l’Assemblea dei referenti diocesani, con gli Uffici, i Servizi e gli Organismi della Conferenza Episcopale Italiana.

Per agevolare l’approfondimento e il dialogo circolare con tutti i soggetti ecclesiali, a partire dal 29 settembre 2023, il Comitato nazionale sarà suddiviso in Commissioni, che si coordineranno, per il tramite della Segreteria Generale e nell’ambito delle proprie competenze anche con i Vescovi delle Commissioni episcopali, i Direttori e i Responsabili degli Uffici, dei Servizi e degli Organismi della CEI.

La prospettiva nazionale, in stretta connessione con il percorso delle Chiese locali, contribuirà al discernimento ecclesiale e all’elaborazione delle proposte da sottoporre alle Assemblee sinodali che si terranno durante la fase profetica a partire dall’anno pastorale 2024-2025.

La fase sapienziale sarà sempre in raccordo con la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». La sintonia con le questioni poste dall’Instrumentum Laboris per la prima sessione (4-29 ottobre 2023) aiuterà a mettere a fuoco alcuni temi per le Chiese in Italia e i frutti del discernimento del nostro Cammino sinodale andranno ad arricchire il cammino di tutta la Chiesa che si prepara a vivere il Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023 e ottobre 2024).

> Verso la fase profetica
La fase sapienziale ha il compito di preparare il terreno alla fase profetica, ovvero quella delle scelte operative. Il Cammino sinodale non si presenta come un evento da organizzare o un ulteriore compito da svolgere, ma un passo decisivo verso la conversione strutturale e permanente di tutta la Chiesa alla sinodalità, perché possa meglio compiere oggi la sua missione evangelizzatrice.

La fine di questa fase è prevista per l’aprile 2024 con la consegna di tutte le proposte alla Presidenza del Cammino sinodale, a cui seguirà la verifica con il Comitato del Cammino sinodale. La Presidenza del Cammino sinodale inoltrerà successivamente i documenti alla Presidenza della CEI in previsione dell’Assemblea Generale del maggio 2024. Le Chiese locali invieranno al Comitato del Cammino sinodale, entro l’aprile 2024, le proposte (sintesi) sui temi del loro discernimento e che hanno rilievo per le scelte nazionali. Questa condivisione rappresenterà la chiusura della tappa sapienziale diocesana. L’Assemblea Generale della CEI del maggio 2024 aprirà l’ultima fase, quella profetica, impostando le successive Assemblee sinodali nazionali che si terranno nel corso dell’anno pastorale 2024-2025, con il compito di deliberare per giungere, attraverso decisioni condivise, ad un consensus fidelium.

Consegniamo queste Linee Guida alle nostre Chiese come contributo per continuare a camminare insieme, nel desiderio comune di discernere nelle tante narrazioni la voce dello Spirito. È sempre Lui l’attore principale del Cammino: invochiamo la Sua sapienza perché guidi i nostri passi su quelle vie che possono sostenere la nostra conversione missionaria. Nei prossimi mesi verranno definiti strumenti e procedure per il passaggio dalla fase sapienziale a quella profetica.

Affidiamo questo nuovo tratto del Cammino sinodale a Maria, che custodiva gli eventi e le parole meditando tutto nel suo cuore (cf. Lc 2,19), che sapeva parlare e sapeva fare silenzio; ci affidiamo a Lei, la Virgo sapiens, la Madre del discernimento presente al Cenacolo di Gerusalemme; a lei, la Madre di Cristo e della Chiesa.