Omelia Messa Crismale 2023

Padre Franco Moscone

Carissimo Popolo santo di Dio e amati fratelli nel sacerdozio,

ringraziamo con forza il Signore per essere ritornati a celebrare la santa messa crismale in cattedrale, la Chiesa Madre di tutta la nostra arcidiocesi. Sono passati quattro anni dall’ultima volta, era il mercoledì santo del 2019, e non potevamo prevedere quanto ci aspettava da affrontare: la prova della pandemia! E come se non bastasse, da ormai quasi quattordici mesi, si è aggiunta la prova della guerra in Europa, tra Russia e Ucraina: situazione che sconvolge gli animi di tutti, riempie di apprensione e timore. Sono stati anni difficili da cui ancora cerchiamo di uscirne provati e con i segni di ferite non del tutto rimarginate. Sono stati anni in cui abbiamo cercato di imparare da quanto ci accadeva. Ci siamo scoperti tutti insieme fragili, bisognosi gli uni degli altri, tutti, indipendentemente dalla nostra posizione sociale ed economica, naviganti sulla stessa barca in balia della stessa improvvisa tempesta … e la tempesta che sembrava terminare non è finita, ma ha aggiunto forme di violenza devastante che inquinano pensieri e cuori: è la violenza della guerra illogica e blasfema.

Contemporaneamente come Chiesa, universale e particolare, abbiamo intrapreso il cammino sinodale per essere veramente Chiesa che annuncia il Vangelo camminando insieme in comunione, partecipazione e missione.

 

Portiamo allora questa sera all’altare, tutti insieme quale Popolo di sacerdoti, le sofferenze, i dolori, le contraddizioni e il peso dell’umanità ferita dalla pandemia e dalla guerra insensata: il Signore, Medico delle anime e dei corpi, li lenisca con l’unguento degli infermi.

Portiamo il grido, l’urlo di pace che sale dalle sorelle e fratelli provati dalla guerra; è questa l’esigenza di Pasqua e la fedeltà alle beatitudini evangeliche: il Signore Gesù rafforzi questa sete e fame di pace e giustizia con l’olio irrobustente dei catecumeni.

Portiamo, con spirito di ringraziamento ed invocazione di sostegno, il percorso entusiasmante e solidale del cammino sinodale: il Risorto lo profumi col balsamo profetico e regale del suo crisma.

 

Perché vogliamo tutti insieme, come Popolo sacerdotale, che questa nostra triplice offerta sia accolta dal Crocifisso-Risorto e sia resa viva dal dono dei tre oli, allora rinnoviamo l’alleanza col Dio rivelatoci in Gesù, che ci fa uscire dalle nostre ristrettezze ed egoismi e ci fa camminare per un esodo di liberazione, comunione e missione. Professiamo con profonda fede che è Lui il Signore, il nostro Dio, che non ne abbiamo altri di fronte a noi … che non pronunciamo invano il nome del Signore nostro Dio (quanto ho citato sono le prime parole del decalogo: cf Es 20, 2.7). Adoriamo il Dio di Gesù, Signore della storia, riconosciamolo tale, facciamolo maturare nella nostra vita, a Lui solo rendiamo culto senza cercare alcun guadagno od interesse privato o di parte: diversamente non saremmo cristiani, ma pagani e bestemmiatori!

 

Il secondo comandamento non si riferisce solamente alla bestemmia esplicita (a volte semplice sfogo psicologico, giustificabile dal peso asfissiante di situazioni disumane), ma si riferisce soprattutto a modalità di sentimenti negativi (che occupano e soffocano il cuore) e a un linguaggio che condiziona il pensare inquinando le relazioni. E’ così che l’io si sostituisce a Dio e cancella il noi, diventa un idolo per sé stesso e per la conduzione della propria vita; non ha più spazi aperti davanti a sé, ma solamente ambiente asfittico con aria che imputridisce e provoca la morte.

Il secondo comandamento vale per tutti i battezzati, ma in modo particolare deve costituire l’ossatura di chi è chiamato a svolgere la funzione di ministro istituito e per questo consacrato con l’unzione: “non facciamoci illusioni”, come ricorda San Paolo, “non si può scherzare con Dio” (cf Gal 6, 7)!

 

Desidero allora sottolineare alcune parole che non dovrebbero mai stare nel linguaggio di un presbitero unto per essere ministro del Cristo Crocifisso e Risorto, Salvatore dell’umanità e Redentore del cosmo. Sono parole da evitare come riferimento di vita, o meglio ancora, vanno da noi presbiteri come trasfigurate: se trasfigurate portano a salvezza e collaborano alla redenzione che annunciamo predicando e testimoniando il Vangelo di Gesù. Analogamente, l’evitare l’uso di certe parole, o meglio ancora, saperle trasfigurare facendole maturare in Vangelo vissuto, è compito di ogni battezzato, in Cristo unto come Sacerdote, Re e Profeta. Lascio allora a me, ai fratelli presbiteri ed a tutti voi, fratelli e sorelle, unti nel battesimo e profumati di Cristo, il compito pasquale di trasfigurare quattro parole.

 

  • La prima parola è carriera. Gesù ha definito sé stesso Via, ed i primi discepoli si chiamavano “quelli della via”. La via che Gesù ci propone non è quella della scalata, dell’arrivismo, del carrierismo o del successo individuale. La sua è la strada (odos) dello scendere, dell’abbassarsi, dello svuotamento dell’io (kenosis). La carriera secondo il Vangelo è il rovesciamento della stessa e si chiama servizio, è quella che ci rende autentici servi/doulos (schiavi) del Signore, dell’umanità, della creazione. Siamo chiamati a dare/offrire/sacrificare la vita, non a gonfiarcela! Come ci ha ricordato il servo di Dio don Antonio Spalatro “il Cristianesimo è umiltà, nascondimento, è marcire”, allora con le sue parole anche noi preghiamo: “Signore, insegnami ad essere seme. Un seme che sa nascondersi, sa marcire, sa morire”[1].

Trasfiguriamo, fratelli, la parola carriera in servizio e semineremo a piene mani ed in ogni tipologia di terreno il Vangelo!

 

  • La seconda parola è avversario. Gesù ha definito se stesso Vita e vita in pienezza; vita che esalta e fa germogliare non che pone paletti, crea recinti privati e sostiene contese. Il discepolo ed apostolo di Gesù vede davanti a se non degli oppositori o contendenti, ma solamente dei volti; nei tratti di ogni volto riconosce le fattezze dell’unico Creatore e Padre. Volti che ci fanno scoprire tutti fratelli e sorelle, figli di un Dio che si è fatto uno di noi, che si è sporcato e mescolato con la nostra carne. Siamo tutti Volti ri-volti l’uno verso l’altro, come spiegava il Venerabile don Tonino Bello. Nell’altro scopro lo stesso mio volto e riconosco quello di Cristo!

Trasfiguriamo il termine avversario in volti ri-volti e il nostro sguardo sull’umanità ed il mondo sarà come quello di Cristo, assetato di giustizia!

 

  • La terza parola è nemico. E’ questa una vera brutta parola, perché è un termine che intende “negare” la dignità o addirittura l’esistenza dell’altro! E’ una vera bestemmia; la condanna chiaramente Gesù nel discorso della Montagna, e ci chiede di curare questa “bestemmia contro l’umanità” attraverso la preghiera (cf Mt 5, 43-45). Pregando scopriremo il bisogno di chiamarci per nome e sentiremo che ogni volta che si pronuncia un nome si ravviva in tutti (in chi lo pronuncia e in chi si sente chiamato) la vocazione alla comune santità (cf Mt 5, 48). La preghiera, rammentandoci la chiamata alla santità, rafforza il camminare insieme, sviluppa l’autentica sinodalità e ci introduce nella comunione trinitaria. Per usare espressioni di P. Pio, in questo modo “si avvicinerà sempre più l’uomo alla divinità … e il solo dire ‘credo costituirà per noi martirio (testimonianza)”[2].

Trasfiguriamo l’espressione nemico in preghiera e la fatica di ogni giorno ci renderà operatori di pace, chiamati tutti figli di Dio!

 

  • La quarta parola è straniero. Dio, Padre di tutti, ha creato l’umanità una e non divisa; ma nello stesso tempo l’ha costituita plurale, per risplendere l’immensità dell’origine divina, continuamente creante! Siamo tutti stranieri e forestieri su questa terra, in possesso di un permesso di soggiorno provvisorio, perché emigranti verso la “Gerusalemme celeste”. Impariamo, allora, dal nostro Servo di Dio don Antonio Spalatro a “darsi, darsi! Uscire dalla propria mentalità per mettersi in quella degli altri” e riusciremo a “formare col Cristo un solo principio di vita … vivere ogni istante, compiere ogni azione, pregare, come se agissimo insieme con Cristo, formanti una sola cosa con Lui”[3]. Non ci sarà più nessuno considerato straniero o forestiero nella casa comune ricevuta come dimora dal Creatore e Padre, ma tutti fratelli-sorelli nella medesima cordata verso il cielo.

Trasfiguriamo la parola straniero in fratello-sorella e germoglierà la comunione attraverso i continenti, le culture, le nazioni, in ogni cuore!

 

Se saremo riusciti a “trasfigurare” i termini del nostro linguaggio, allora pronunceremo altre parole e scriveremo altre storie: saranno autentiche poesie di Vangelo vissuto, che coloreranno le nostre vite e le nostre città. Saranno storie che:

  • profumeranno delle Beatitudini come annuncio (= crisma),
  • avranno il gusto della Fraternità nelle relazioni (= olio infermi),
  • respireranno della Misericordia come stile e legge di vita (= olio catecumeni).

 

Preghiamo così con San Francesco:

“Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:

dove è odio, fa ch’io porti amore,

dove è offesa, ch’io porti il perdono,

dove è discordia, ch’io porti la fede,

dove è l’errore, ch’io porti la Verità,

dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.

Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,

dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.

Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto

ad essere compreso, quanto a comprendere,

ad essere amato, quanto ad amare,

poiché:

è dando che si riceve,

perdonando che si è perdonati;

è morendo che si risuscita a Vita eterna

… e così la pace che annunciamo con la bocca

sia più copiosa nei nostri cuori!”.

 

Pregando e vivendo così, con l’energia che ci proviene dall’unzione dei santi oli, ognuno di noi, sacerdoti e Popolo santo di Dio, possa confessare come Etty Hillesum: “ho una fiducia così grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore, ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò ad accettare questa vita come una cosa buona … E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella”.

Amen!

[1] Cf. Diario di don A. Spalatro del 21 gennaio 1949 e 29 novembre 1950

[2] Cf Epistolario I di P. Pio, 22 ottobre e 23 novembre 1918

[3] Cf. Diario di don A. Spalatro del 22 dicembre 1948 e 24 febbraio 1948