27 marzo 2024

Omelia Santa Messa del Crisma – Padre Franco Moscone

Cattedrale di Manfredonia

Carissimi fratelli e sorelle del Popolo santo di Dio, amati confratelli nel sacerdozio,

anche quest’anno ci troviamo numerosi e stretti dalla fede nel Risorto a celebrare la santa messa crismale, che ci inebria del santo profumo di Cristo. Nel Suo profumo desideriamo essere immersi oggi e sempre per portarlo ovunque e diffondere la conoscenza di Cristo che è, come ci ricorda Paolo odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita, e questo profumo siamo noi Suoi discepoli e missionari (cf 2 Cor 2, 14-15).

Vorrei che ci sentissimo vicini nello spirito a Mons. Paolo Borgia, presbitero della nostra arcidiocesi e Nunzio apostolico in Libano, che quest’anno non può essere presente con noi, ma è con noi in comunione e noi lo siamo con lui e con il suo popolo martoriato per la guerra. Vorrei che questa Santa Messa così sentita ed intrisa dal balsamo profumato di Cristo la offrissimo per la Terra Santa e tutto il Medio Oriente pregando per la pace ed intercedendo per la sofferenza immane delle popolazioni palestinesi e medio orientali. A loro abbiamo dedicato la Quaresima di fraternità di quest’anno e dedicheremo ancora questi giorni che ci rimangono e soprattutto il Venerdì santo per irrobustire la nostra colletta. Come ai tempi di Paolo, anche oggi, la nostra abbondanza possa supplire all’indigenza di chi soffre, lotta e muore nella Terra che ha visto il nostro Salvatore percorrerne le strade (cf 2 Cor 8-9). Speriamo di poter consegnare il frutto della nostra offerta direttamente nelle mani del Patriarca latino di Gerusalemme il Cardinal Pierbattista Pizzaballa in occasione della consegna del premio “Chiara Lubich, Manfredonia città per la fratellanza universale”, promosso dalla comunità dei Focolarini. Intanto con questa celebrazione crismale ognuno di noi possa pregare ed affermare dal profondo del cuore con Papa Francesco: “sono vicino a tutti coloro che soffrono, Palestinesi e Israeliani. Li abbraccio in questo momento buio. E prego tanto per loro. Le armi si fermino, non porteranno mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta fratelli, basta!” (Angelus 12 novembre 2023). Oggi ci vuole coraggio a fare la pace, non a combattere guerre: noi, dal Gargano, terra dell’Arcangelo Michele e di Padre Pio, affermiamo questo coraggio e lo chiediamo per tutti coloro che reggono nelle loro mani le sorti dell’umanità!

Dopo questo sguardo al contesto mondiale ed alla Terra Santa in particolare, con l’invito a sentirci tutti partecipi assumendo la nostra responsabilità di battezzati, discepoli e missionari del Principe della Pace, e quindi operatori di Pace, mi rivolgo in modo particolare ai miei fratelli nel sacerdozio ministeriale.

Guardiamo, fratelli, al dono che abbiamo ricevuto, al ministero a cui siamo stati chiamati, alla responsabilità a cui il Signore ci ha considerati degni e capaci. Su questo dono, su questo ministero, su questa responsabilità edifichiamo la nostra vita. I nostri fratelli e sorelle del Popolo santo di Dio, da cui siamo stati tratti e a cui siamo stati mandati, hanno diritto di vedere in noi una vita non tanto credente, quanto credibile; una vita trasparente di Vangelo; una vita che sappia scrivere nel quotidiano le parole delle Beatitudini. Perché questa sfida pastorale, che portiamo nelle nostre persone consacrate dal sacro Crisma, e che sta nelle sane aspettative e desideri nel Popolo di Dio affidatoci da condurre, sia realizzabile da noi presbiteri e leggibile da tutti i fedeli, abbiamo bisogno di nutrirci di tre alimenti. Li indico brevemente e ne sottolineo l’indispensabilità.

Il primo alimento è la preghiera. Come non c’è vita cristiana senza preghiera assidua e sincera, non ci può essere vita sacerdotale senza preghiera. E’ la preghiera che alimenta la nostra spiritualità e formazione; è la preghiera che abbellisce e rende eloquenti le nostre celebrazioni e momenti liturgici; è la preghiera che fornisce spunti alle nostre omelie; è la preghiera che stimola le nostre programmazioni pastorali e intenzioni caritative. Domandiamoci: prego o trascuro la preghiera? Come prego? Quanto tempo dedico quotidianamente alla preghiera? Sono fedele alla Liturgia delle Ore? Sono convinto che la preghiera è il mio primo servizio al Popolo?

Il secondo alimento è il Pane, il pane eucaristico, che sono stato abilitato a spezzare ogni giorno sull’altare ed offrire ai fratelli e sorelle. Ma, prima ancora di distribuirlo al Popolo, lo spezzo e alimento per me stesso bisognoso di perdono. Offrire, spezzare e mangiare il pane eucaristico mi deve rendere consustanziale allo stesso Pane. La transustanziazione non riguarda solo le specie eucaristiche affidate alle mie mani, ma l’intera mia persona ed il mio corpo. Domandiamoci: come vivo l’eucaristia? Con che animo la celebro ogni giorno? Mi sento io stesso eucaristia? Sono disponibile ad essere “spezzato” nelle mie giornate di prete?

Il terzo alimento è il Prossimo. Sì proprio il Prossimo, incominciando dai più vicini, ossia i miei fratelli nel Presbiterato. Con il Prossimo ogni giorno devo imparare a vivere e morire. Il Prossimo a cui sono stato mandato e da cui sono stato tratto ha fame, è affamato di vita vera, debbo sapergli offrire la mia vita eucaristicamente spezzata e dal sapore di Vangelo vissuto. Domandiamoci: come vivo il mio rapporto col Prossimo? Lo sento indispensabile alla vita sacerdotale? Lo vedo come immagine del Dio a cui ho risposto nella vocazione ed a cui voglio obbedire? Posso dire con sincerità che sto dando la vita per il Prossimo?

E’ con questi tre alimenti, che non debbono mancare in nessuna delle mie giornate, che posso veramente non solo esercitare il mio sacerdozio, ma esserlo veramente: non faccio il Prete, ma sono Prete!

La storia della nostra Chiesa locale è ricca di testimonianze di sacerdoti Santi a cui dobbiamo e possiamo riferirci per nutrire e stimolare il nostro servizio ministeriale. Tra questi emerge la figura del giovane Servo di Dio Antonio Spalatro. È stata depositata nei mesi scorsi la Positio e procede il processo di beatificazione nella fase romana. Desidero invitarvi a guardare, insieme con me, a lui in questo momento che ci vede tutti riuniti come unico Presbiterio. Vi ripropongo, leggermente rivista, parte di una paginetta che scrissi qualche tempo fa per la rivista diocesana Voci e Volti.

Sono prete”. Sono le due parole con cui don Antonio apre il diario nel giorno della sua ordinazione sacerdotale, il giorno dell’Assunta nella cattedrale di Vieste, del 1949. Il lungo e poliedrico percorso formativo, stabilito il giorno dell’Immacolata del 1946 con la decisione mi voglio formare un carattere serio e conveniente per un aspirante al Sacerdozio, è giunto alla meta. Ma la meta del Sacerdozio porta don Antonio ad una scoperta tanto inattesa, quanto esaltante: non so, ho sentito di essere un altro … ho sentito una personalità nuova in me.

Si tratta del prendere atto dell’identità presbiterale. Don Antonio riconosce che l’ordinazione è la creazione in lui di una nuova persona: d’ora in avanti è un altro! Credo sia facile riconoscere chi è quest’altro: è Cristo in lui. Può confessare come Paolo nella lettera ai Galati: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (cf Gal 2, 20). Il neo presbitero ha l’immediata coscienza che la sua vita è diventata nuova, che la sua personalità è stata rivoluzionata interamente, che ormai in lui vive l’Altro-Cristo, che è stato come cristificato. Allora tutto cambia ed emergono immediatamente, tanto nel suo pensiero che nel suo sentimento, due convinzioni.

La prima convinzione riguarda il pensiero sul sacerdozio e potrebbe essere espressa così: sente di essere passato da una persona “privata”, ad una persona “universale”. Ormai prende coscienza di essere l’interesse di tante anime che hanno tutte diritto su di lui. Don Antonio sembra affermare che diventare prete ha significato perdere ogni diritto su di sé, per concederlo agli altri. E tale cessione è universale, scrive che è propria di tutte le anime create.

La seconda convinzione riguarda il sentimento circa la vocazione sacerdotale ed è esplicitata nell’affermare che si è sentito addosso l’ansia della santità. L’ansia è un sentimento psicologicamente pesante e da tenere sotto controllo, ma quando diventa ansia di santità, tutto cambia e diventa un sentimento positivo che spinge verso l’Altro e gli altri, che porta in Alto, non deprime, non rallenta, non crea indecisioni. Don Antonio sente che sarà tanto bello il suo sacerdozio, perché il prete è “come gli uomini, nelle apparenze, per farci guardare dagli uomini, farci amare, come Cristo, nella realtà, per renderli Santi” (cf. diario del 24 giugno 1949).

Diventato prete, don Antonio ha preso coscienza di essere cambiato, diventato simile a Cristo, sente di avere un animo universale e di dover mantenere un’unica ansia, quella di diventare santo!

Per diventare santo don Antonio cura in particolare quello che chiama il primo assioma della vita del sacerdote ed afferma: “vedo con chiarezza questa verità: tra confratelli bisogna amarsi, amarsi, senza l’ombra del personalismo; perché la meta è unica, ed il ministero è il più santo” (frase ripetuta due volte nel diario il 10 e 27 marzo 1950). Don Antonio Spalatro è così riuscito a compiere il suo proposito di vita, ossia aver formato con Cristo un solo principio di vita e diventare per il Popolo del suo paese grano di frumento destinato a marcire e produrre frutti che non vedrà (cf 24 febbraio 1948; 28 marzo 1949 e 26 febbraio 1950). Vissuta ed interpretata in questo modo la breve esperienza presbiterale del giovane Servo di Dio è icona dell’Eucaristia non solo celebrata, ma incarnata nella sua persona di prete.

Infine, nel ritirare al termine della celebrazione gli Oli santi, ho disposto (si tratta di un regalo personale) che ad ogni parrocchia venga anche consegnato un libro: AAVV, Percorsi di FRATERNITA’, Ed. San Paolo 2022. Si tratta di un sussidio, voluto e promosso dalla CEI, per animare ed educare tutti i credenti, le comunità, le associazioni, le istituzioni educative, ecc. all’Enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco, perché Fratelli Tutti siamo noi. Ricordiamoci, soprattutto noi sacerdoti, che la fraternità è un dono ed una responsabilità: senza fraternità le omelie sono insignificanti, le catechesi inutili, le liturgie incomprensibili, i sacramenti vuoti, i gesti di carità ingannevoli, le tradizioni cose vecchie e di cattivo gusto. Pertanto saremo degni di essere unti con i santi Oli e profumeremo del sacro Crisma alla sola condizione che la nostra vita abbia il gusto della fraternità, si nutri e nutri gli altri del pane dell’amicizia.

Cari fratelli nel sacerdozio, rinnoviamo oggi il gioioso proposito di diventare santi. E voi fratelli e sorelle del Popolo santo di Dio pregate per noi, perché possiamo essere fedeli e coerenti con questo proposito che abbiamo assunto pubblicamente nel giorno dell’ordinazione presbiterale e che tra poco rinnoveremo professando solennemente le promesse sacerdotali.

Amen!

+ p. Franco Moscone crs

arcivescovo

*Foto di Leonardo Ciuffreda